GALLERISTI, CHE GENTE | CLAUDIO COMPOSTI

1 Posted by - September 24, 2015 - Galleristi, che gente, Interviste

Tocca ora a Claudio Composti “subire” il fuoco di fila delle domande di questa neonata rubrica kritika. Credo di non dire nulla di sconvolgente se dico che fra di noi intercorre una frequentazione di lunga data: la mc2 gallery nacque proprio insieme al fogliuzzo (una volta cartaceo) che state leggendo.

A giudicare dalle risposte date a questa intervista mi verrebbe voglia di cambiare il nome della rubrica e chiamarla “Capitani coraggiosi”: lo sanno tutti, ma proprio tutti, che l’Italia è un posto in cui fare impresa è un’attività da eroi. E questo è vero ovviamente anche nel mondo dell’arte. Anzi, quella del gallerista è la realizzazione più chiara del processo economico chiamato reinvestimento degli utili -mostre, fiere, cataloghi, comunicazione, viaggi et cetera, più il “dazio” da riversare allo Stato- nella stessa attività d’impresa.

Per una galleria privata è impietoso il confronto col settore pubblico delle grandi mostre, che attraverso il Minculpop  e gli enti inutili come le Regioni o le Province (abolite, ma reintrodotte surrettiziamente) non rischia nulla, al massimo una recensione negativa su Artribune.

Lo dico sempre, lo Stato dovrebbe estinguersi dalla cultura. Non ci vuole un Ministero per promuoverla, basta un valido commercialista che, legibus solutus, realizzi, tanto per fare un esempio, una drastica riduzione dell’iva (ecco perché i quadrucci costano tanto signora mia!).

Ma il viaggio è appena iniziato e chissà che da questi colloqui non nasca un giorno una spinta propulsiva al cambiamento. Intanto, cittadine e cittadini, as usual, buona lettura
 
 
Caro Claudio, quando hai iniziato a occuparti d’arte?

Fin da piccolo, frequentando la galleria storica di mio padre e del socio, Franco Toselli. La miglior scuola, da cui ho “rubato” tutto ciò che mi ha permesso poi di aprire mc2 gallery, insieme al mio socio Vincenzo Maccarone. Ho imparato da loro un modo di essere gallerista ormai finito. La mia sfida è rendere contemporaneo quello spirito di fare galleria.
 
 
Che tipo di approccio è il tuo al lavoro di un artista? Cosa valuti per capire se ti trovi davanti a uno che è la fine del mondo?

La pancia e l’istinto, in primis. Ho la fortuna poi di poter girare il mondo con Vincenzo, il che ci permette di essere aggiornati sulla contemporaneità di linguaggi estetici, requisito fondamentale per capire dove va il mondo dell’arte.

Su ciò che chiami “la fine del mondo”…non so…oggi è ancor più difficile scommettere su giovani artisti.

Come ti dicevo si è rotto un sistema di fare arte (anche economico) che non permette più di scommettere e scegliere su una rosa limitata

Del resto non è mai stato facile, ma oggi la discriminante la fanno le tecnologie, che permettono di vedere e scoprire artisti (o sedicenti tali, ahimè) che intasano il filtro della selezione, creando un’enorme confusione nei neo-acquirenti d’arte, ben diversi dai collezionisti (intesi come chi ha una continuità di acquisto e una visione), che oggi sono sempre meno attenti ai giovani artisti.
 
 
Musei, ma anche politica economica: una tua opinione sull’intervento pubblico nell’arte contemporanea. Serve? Non serve? Concorrenza sleale?

Ci fosse questa concorrenza! (che non sarebbe tale). Non dico nulla di nuovo dicendoti che da sempre una cieca amministrazione non capisce che investire sulla cultura in un paese come l’Italia equivarrebbe ad aiutare l’economia. Basti dire che per l’ennesima volta abbiamo perso l’occasione con EXPO di avere finalmente un museo a Milano disegnato da un’archistar che avrebbe  attirato il  turismo, che a sua volta produce economia. La prima voce cancellata dai budget al primo buco di bilancio è stato il Museo…e siamo a Milano!

L’“effetto Bilbao” che ha creato il Guggenheim nei paesi baschi dovrebbe fare da esempio, ma si sa: troppa politica in posti dove ci vorrebbe invece più poesia ed esperienza della cultura.

L’Arte è una forte carta d’identità per un popolo. Per questo proteggere la Cultura e l’Arte significa, da parte delle Istituzioni, difendere le proprie radici storico culturali.

La conservazione dei propri beni culturali è lo specchio del livello di benessere e progresso di una società

Se sta bene, è florida e avanzata, può permettersi di dedicare risorse e tempo alla Cultura. Era la grandezza di Roma rispetto ai “barbari”. Oggi abbiamo dimenticato quella nostra grandezza ed assistiamo allo scempio della decadenza dei templi e del patrimonio artistico (vedi Pompei).
 
 
Perché è così raro vedere delle partnership in Italia? Tutti gelosi del proprio tesoretto?

Purtroppo il nostro dna storico è quello di un Paese fatto di tante divisioni culturali tra regioni. E’ ciò che ci caratterizza da sempre.

Siamo ancora al tempo dei comuni come mentalità. Non siamo una Nazione nata dalla Storia e dalla volontà popolare: siamo nati 150 anni fa sulla carta. Quindi il nostro è un innato senso di divisione, tra pro e contro, su tutto

Troppo campanilismo. Fare alleanze non riesce naturale agli italiani. Noi invece cerchiamo di lavorare con chi la pensa come noi. Oggi la parola d’ordine è “sharing”, condivisione. Come si suol dire, “no man is an island
 
 
Trova le differenze fra un collezionista italiano e uno no

All’estero, specie in America, arte e business vanno di pari passo. Anche nelle trattative la velocità di scelta (e di pagamento) ci stupisce, quando invece dovrebbe essere la normalità.

La trattativa, quando inizia, si conclude al momento. Un collezionista che visita lo studio di un artista a New York, dove il ritmo di vita e le distanze non permettono di perder tempo, non se ne va quasi mai senza acquisto o senza un contatto che porti a qualcosa.

Qui invece si guarda, si pensa, si parla, si ripensa, si contratta, si ripensa, si riparla e dopo che si acquista se ne riparla e parte la lotta per un ulteriore sconto

Da troppo tempo si parla di crisi economica. Io non ne vedo la fine e ti chiedo: dal punto di vista di una galleria italiana che opera anche all’estero, qual è lo stato attuale dell’arte, almeno nella provincia italiana? Chi domina il campo? Quali sono gli scenari futuri?

La crisi nel mondo dell’arte c’è sempre stata, diciamolo. Certo ora la crisi economica si è allargata alla vita di tutti i giorni e quindi si livella quel malessere che fa pensare prima a sopravvivere e poi ad acquistare un bene di lusso come l’arte: un lusso non solo economico, ma anche dell’anima. Il governo poi schiaccia le imprese con una tassazione iniqua e assurda, che invece di agevolare la ripresa stronca le aziende, specie piccole.

La globalizzazione e la tecnologia poi hanno reso il mondo piccolissimo e la velocità di scambi  e consumismo hanno aumentato le possibilità di spostamento e visibilità in maniera illimitata. Sicuramente America e Asia hanno alle spalle new economies (sostenute dai governi) che usano la cultura per aumentare il prestigio politico ed economico delle loro nazioni. Non a caso Art Basel ha aperto  da anni ad Hong Kong.

La difficoltà per noi galleristi europei, in termini di mercato, è quella di entrare in contatto senza supponenza con culture cosi lontane da noi come quelle asiatiche o medio orientali e riuscire a far accettare la nostra arte

Bisogna frequentare quei Paesi per capirne il gusto e l’arte. E forse adattarsi più ad uno scambio reciproco artistico piuttosto che mirare ad una imposizione culturale neo-colonialista.
 
 
Molti galleristi le loro mostre se le curano da sé. Secondo te, quanto può “pesare” un curatore?

Io sono uno di quelli che curano tutto in una mostra. Mi piace scrivere e la visione di allestimento è parte fondamentale del mio progetto curatoriale. Credo che il gallerista debba avere una visione totale di un progetto mostra. Ciò non toglie che le collaborazioni con curatori esterni e occasionali non ci possa essere, anzi. Come dicevo, le collaborazioni sono sempre positive, ed è la base della nostra filosofia come galleria. Il nome stesso, Mc2, deriva dalla formula di Einstein, E= mc2. Dove “E” sta per Sinergie.

Io stesso firmo alcune mostre in co-curatela spesso e volentieri. Non ultima quella di Jonny Briggs ora in mostra, a cura mia e di Emanuele Norsa, gallerista di Ncontemporary a Londra.

Per me co-curatela significa “in collaborazione con”. Un progetto nasce grazie ad una staffetta emotiva, come la chiamo io, tra artista gallerista e a volte un curatore: tutti impegnati e coinvolti su uno stesso progetto, mettendoci del loro per farlo nascere, crescere ed espandere.

L’importante è avere sempre coscienza di ciò che si fa. Quello che non amo invece è confondere la curatela, che significa appunto pensare alla mostra e al tipo di allestimento, con il testo critico: curatela e testo critico hanno due significati ben precisi, importanti ed equivalenti ma diversi, che troppo spesso si fondono e confondono, invertendo i ruoli tra curatore e critico.
 
 
E quanto “pesa” invece il giudizio di un critico sul lavoro di un artista?

Dipende da chi è il critico e chi l’artista. Come sempre, dipende da “chi parla di chi”. Un caro amico mi disse una frase del nonno che mi rivendo per chiudere: “Poco se mi penso, tanto se mi confronto”. Tutto è relativo.

1 Comment

  • andrea schubert September 27, 2015 - 8:19 am Reply

    Certo che ” Il governo poi schiaccia le imprese con una tassazione iniqua e assurda, che invece di agevolare la ripresa stronca le aziende, specie piccole.”, e che “la crisi economica si è allargata alla vita di tutti i giorni e quindi si livella quel malessere che fa pensare prima a sopravvivere e poi ad acquistare un bene di lusso come l’arte: un lusso non solo economico, ma anche dell’anima”. Ma trovare risorse pubbliche per costruire contenitori di cui poi non si hanno le risorse economiche per riempire mi sembra un azzardo.Visto poi che si evidenzia come “La conservazione dei propri beni culturali è lo specchio del livello di benessere e progresso di una società” “ed assistiamo allo scempio della decadenza dei templi e del patrimonio artistico (vedi Pompei). Questo avviene per carenza di fondi e per inettitudine, spreco e mal costume delle istituzioni. Non arriverei a dire che “Lo dico sempre, lo Stato dovrebbe estinguersi dalla cultura”, ma deve evolversi in qualcosa che simbioticamente cresca e prosperi.

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