Gabriele Ercoli esibisce esteticamente la fibra di legno “al saltimbanco” della tavola. In questa, c’è una rugosità che prova almeno a “lambire” il riequilibrio per “chiatta”. Nei pesci, la squamosità aiuta l’elasticità del nuoto. Ci sono alcuni quadri di Gabriele Ercoli che hanno un tono grigiazzurro, a percepirsi nel “saltimbanco” fra la foschia del cielo e la pozza d’acqua. Però la texture “ciottolosa” esibisce tutta l’elasticità d’un labbro che “lecchi”, senza manco passare per la “fibra” d’una lingua. C’è spesso un rimbalzo, nei quadri di Gabriele Ercoli. Pare che la fibra di legno si sfilacci per riequilibrarsi, e come “leccando” sulla “chiatta” dell’intavolato. La squamosità si percepirà nella propria “bava”. Una tavola permette di distendervi i vari oggetti. Ma, artisticamente, quella esposta da Gabriele Ercoli diventa il “saltimbanco” fra la rugosità della materia e la “canalizzazione” d’un concetto. Lucio Fontana ad esempio tagliava la tela, cercando un’assolutezza per la linea astratta. Gabriele Ercoli può “sfilacciare” la fibrosità, ma affinché essa rimbalzi nella materia. Così il taglio riceverà il riequilibrio, canalizzandosi tramite una “chiatta” per l’astrazione che solo lambisca. C’è l’elasticità del fibroso, che “sbaverà” per intavolare la materia. La suggestione della squamosità convince poi dal banco di pesci. In quelli funziona il salto delle pinne, e sulla “chiatta leccante” per la pressione marina (spesso “acciottolata” dalle correnti). Gabriele Ercoli non esibisce il taglio che “sprofonda”, bensì lo sfilacciato che “rimbalza”. Se ci fosse una lingua, essa canalizzerebbe la propria “pozza”. I quadri potranno avere una tonalità desertica, dove il salto in banco si percepirà fra i raggi solari che lambiscano le “bave” delle dune. Lo sfilacciarsi delle fibre dovrà rasentare il ritaglio d’una profondità astratta. Forse la duna consentirà un riequilibrio almeno di sbieco, sulla “chiatta” fra il fosco vento e la “pozza” più rilassante d’un miraggio. Gabriele Ercoli può cercare virtualmente una superficie lunare, dove l’atmosfera in quanto impercettibile è di fatto “saltata”. Al ridursi della gravità, da un eventuale cratere la rugosità apparirà canalizzata sino ad “intavolarsi”. L’astronauta sulla Luna diventa un “saltimbanco” in sospensione astratta (senza l’atmosfera), per più d’un secondo. I quadri mostrano un cratere accompagnato da una crepa. E’ sempre lo “sbavato” del rimbalzo, dove la forza di gravità canalizzerebbe il riequilibrio d’un suo peso. In tal modo, noi percepiremmo “l’archetipo” d’un taglio la cui profondità sappia colmarsi. Ma quanto tornerà la caratteristica dialettica fra la materia oscura e le onde gravitazionali? Un archetipo rasenta il proprio passaggio “al tavolo” della serialità (dove ogni “ritaglio” si riequilibri).
Conosciamo l’elegia in cui Rilke descrive i saltimbanchi. La loro performance avrà un’aria malinconica. Il saltimbanco da sempre “si complica la vita”, per giunta alienando se stesso, se assume un “senso” solo nel soddisfare un pubblico. Visivamente egli incalza il mondo circostante (battendo a terra per equilibrarsi), ma nel contempo noi lo “pensiamo” incalzato (subendo astrattamente la presenza altrui). I saltimbanchi descritti da Rilke si piegano, si torcono, s’attorcigliano, si lanciano, si buttano. Dunque è un continuo “complicarsi la vita”. Rilke immagina che in questo modo il cielo possa “far male” alla terra. Fuor di metafora, i salti in aria sempre si concludono. Ma quanto il riequilibrio si percepirà cocciutamente? I saltimbanchi per Rilke hanno una vita vagabonda, e “senza scopo”. Noi non possiamo stare a lungo in perdita d’equilibrio. Rilke scrive che la performance del saltimbanco assomiglia a quella della poesia, dove le parole assumono un significato “acrobatico”. Qualcosa che giri continuamente intorno a se stesso. Rilke intende il proprio lirismo in chiave solo estetizzante. Ma tutte le “difficoltà” del saltimbanco saranno largamente inferiori a quelle d’una vita vera.
Gabriele Ercoli ha dedicato una serie di quadri al tema della guerra. In quelli si percepisce la totalità d’una materia nera che “rimbalzi” dal suo assorbimento nel “coagulo”. Ovviamente la guerra fa male. Il coagulo forse va percepito nel salto d’un “banco” per il taglio cutaneo. Il nero è il colore del massimo assorbimento. Il sangue in se stesso pare una “crepa” rimbalzante fra “l’intavolarsi” degli organi vitali. In una prospettiva astronomica, Gabriele Ercoli avrà esibito un “buco nero” del coagulo, metaforicamente dentro il male della guerra? Resta un evento che tragicamente “salterà” ogni “banco” della diplomazia. L’alienazione del nero assorbente tanto nel buco “a coagulo” quanto nella crepa “a fiotti” forse dovrà fungerci da monito? L’opzione della guerra appare da respingere in quanto interamente distruttiva, salvo poi avallarne il pericoloso paradosso d’un rancore perenne. Perduto per cocciutaggine il “banco” della diplomazia, comincerà purtroppo un salto nel “buio” dello “squilibrato”.
Gabriele Ercoli ha realizzato un quadro dove la fibra “sbavante” di legno configurerebbe il tabernacolo. Così si può immaginare il “lieve assaggio” dell’ostia, durante il rito dell’eucarestia. E’ sempre la percezione della chiatta, al rimbalzo dello Spirito Santo nell’uomo. L’ostia ha il pane azzimo, appena “intavolato” se preso in sé, ma pronto a riequilibrare la “rugosità” del peccato. Il tabernacolo del quadro ci sembrerà ovviamente “murato”, così da far “sbavare” il banco del davanzale. Gabriele Ercoli sceglie una tonalità sia biancastra sia giallastra, quasi in linea con la Luce senza sfarzo nel Corpo di Cristo. Il pane azzimo più facilmente si percepisce in via “acquosa”. Quindi anche il tabernacolo ci sembra favorire il “rimbalzo” dell’assorbimento, quantunque in tutta la positività d’una Luce. E’ quasi l’onda gravitazionale dello Spirito Santo. In altri quadri, la fibra di legno appare arata. Perdurando il tono sia biancastro sia giallastro, noi immaginiamo che così si sfogli una “pagina di raggi solari”. Qualcosa che abbia la percezione del salto al banco. Il getto della luce solare sarà chiamato a riequilibrare uno “sbavato” del suolo. Chi sfoglia una pagina, comunque cerca il “rimbalzo” pieno di comprensione, mediante una lettura. Gabriele Ercoli ha scelto “d’arare” parecchio il suo quadro. Così la nostra “chiatta” d’assorbimento nel testo richiederà un certo impegno. Sono quadri “arati” dai “fiotti incalzanti”, ai quali appartiene il tema dell’inizio. Proprio su questo noi giriamo intorno, impegnati in risalita al suo significato (da una prospettiva astronomica, religiosa, naturalistica ecc…).
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