FULVIO DI PIAZZA | PACIFIC

0 Posted by - March 1, 2014 - Recensioni

Jacqueline Ceresoli intervista Fulvio Di Piazza in occasione della sua personale Pacific da Giovanni Bonelli a Milano
 
 
Fulvio Di Piazza (1969), pittore verace, dipinge soggetti per stomaci forti, come certi quartieri  della sua Palermo, città contraddittoria dove vive, in uno scenario ai limiti di una decadente e magnificente bellezza. E’ un virtuoso del colore dall’energia tellurica, surrealista, post-nuclearista, ossessionato dal tema dall’ecologia e della salvaguardia delle risorse naturali, con la speranza che dall’apocalisse del nostro Pianeta prodotta dalla stupidità umana un giorno o l’altro possano nascere nuove forme di vita, dalle fisionomie mostruose, ironiche e paradossalmente familiari.
 
Cosa hai esposto nella  mostra personale dal titolo Pacific  ispirata al principio della  termodinamica e al saggio di Jeremy Rifkin, Entropia in corso nella Galleria Giovanni Bonelli a Milano?

Dodici oli su tela di grande e piccolo formato e una installazione di lavori su carta fra chine, matite e oli, disposte sulla parete a comporre uno schema che rievocasse la forma della Sicilia.

Perché prediligi il grande formato?

Lavorare sul grande formato ti consente di immergerti completamente dentro l’immagine che hai concepito, è  una sfida che richiede tanto impegno fisico e mentale, ma a volte capita che un lavoro di piccolissime dimensioni sia molto più intenso di un lavoro di grande formato. Il mio lavoro si basa molto sull’accumulo di dettagli e sul grande formato ho più possibilità di esprimermi.

Alcune opere rappresentano profili di  “compagni di viaggio”, ma chi sono ?

Generalmente quando lavoro sul ritratto dipingo quasi sempre la mia faccia che trovo sia, per la sua conformazione, il territorio ideale di sperimentazione e quasi sempre quando comincio un nuovo ciclo di opere il primo quadro è un mio autoritratto. Al centro ci sono sempre io, un dio minore che gestisce un mondo fantastico. Per la mostra da Giovanni Bonelli ho realizzato anche un ritratto (il primo di quattro) che rappresenta Francesco De Grandi che è, insieme a me, Alessandro Bazan e il compianto Andrea Di Marco un esponente della Scuola di Palermo.

Cos’è la scuola di Palermo ?

Siamo un gruppo di pittori e amici costituito dal sottoscritto, Alessandro Bazan, Francesco De Grandi e Andrea Di Marco che sul finire degli anni Novanta ha rilanciato la pittura in Italia. L’appellativo di scuola è stato coniato dal critico Alessandro  Riva, ma in realtà siamo un solidale gruppo di amici che hanno condiviso la passione per la pittura come ricerca innovativa, lo studio e le scorribande in giro per l’Italia alla ricerca di gallerie interessate al nostro lavoro. La nostra pittura si distingue per toni accessi e riferimenti al cinema e più in generale alla cultura underground. Nella vita  siamo legati da profondo affetto, rispetto e solidarietà l’uno con l’altro.

Hai dato titoli a queste opere: quali?

Pacific è un grande quadro ispirato alla trash island, una grande isola di micro frammenti di plastica che galleggia al centro dell’Oceano Pacifico e che di fatto sta distruggendo tutta la fauna e la flora marina. Da questa idea si sviluppa tutta la mostra che attraverso questo filo conduttore racconta in maniera ironica e surreale storie a sfondo catastrofico/ambientalista. Netturbo è un grande autoritratto costruito con una texture di colore che ricorda una discarica. Madre blu ritrae una mucca  cosmica che dà origine all’universo. A cross the univers è il quadro più grande della mostra ed è dedicato ad Andrea Di Marco, una grande balena paesaggio affiora da un mare di onde di trucioli. E poi My head is on fire, Munnizzo, Smoky, Rastafire, If I had a tail che è ispirato a una canzone dei Queens of the Stone Age, Siculosauro, Ratspiderbat, che è un altro autoritratto e De buchi neri e Grandi rivelazioni, che come suggerisce il titolo è dedicato all’amico De Grandi.
 

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Fulvio Di Piazza, A cross the Universe, 2013, olio su tela, 200×400 cm

 
Quali sono i temi fondamentali della tua ricerca?

E’ una pittura di forte matrice surrealista, se vogliamo, ma preferirei farla rientrare nel più vasto territorio del fantastico. Al centro del racconto c’è una riflessione sulle problematiche ambientali e sul paesaggio. Le mie visioni tragiche e apocalittiche vengono però sempre filtrate da una rappresentazione ironica e fortemente ludica. Non mi interessa rappresentare la tragedia nuda e cruda, preferisco che arrivi all’osservatore lasciandogli un sorriso in bocca e il buio nell’anima.

Quali sono le tue fonti di ispirazione?

Il cielo, i colori e la profondità di campo del paesaggio siciliano, la realtà in cui vivo con le sue forti contraddizioni, i fantasmi del mio spirito, la luce, le qualità fisiche degli oggetti, la musica, l’ossessione di rappresentare nella fissità di un quadro le cose in perenne mutazione come le nuvole o il magma.

Quali artisti del passato consideri tuoi maestri e continuano ad ispirarti  ?

Non ho mai avuto una vera passione per un artista in particolare; ricordo però che rimasi folgorato da una retrospettiva su Francis Bacon a Lugano durante il periodo dell’accademia. Non ho mai fatto degli studi sul lavoro di qualche pittore in particolare. La mia pittura si fonda sull’errore, nasce dal fatto di voler rappresentare la realtà nella sua complessità senza avere i mezzi tecnici per farlo. Nasce dalla frustrazione e dal tentativo vano di voler rappresentare un’immagine tridimensionale su un supporto bidimensionale.

Che tecnica usi ?

Olio su tela o su tavola.

Vivere a Palermo è un vantaggio o uno svantaggio secondo  te per l’evoluzione del tuo lavoro ?

L’isolamento dalle “distrazioni” cittadine l’ho sempre considerata una situazione vantaggiosa per quel che riguarda la produzione di immagini. Palermo è una realtà paradossale e per questo molto stimolante: è chiaro però che non ha il dinamismo di città come Milano.

In questa mostra personale c’è qualcosa di nuovo, un’opera site-specific: di che cosa si tratta e come ti è venuta quest’idea?

Si tratta di una istallazione di disegni su carta realizzati a matita, china e olio. Avevo a disposizione un gruppo di circa trenta disegni fatti per una mostra sulla Scuola di Palermo al Museo Goethe di Düsseldorf. Erano senza cornice e quindi difficili da installare, sarebbe venuto un lavoro sporco: allora ho deciso di disporli sul muro uno accanto all’altro fino a formare un’immagine che evocasse la forma della Sicilia. Una volta fatto questo ho dipinto con la china sulla carta dei tonni che poi ho ritagliato disponendoli tutti intorno come se trasportassero questa Sicilia di carta. Il risultato è stato molto soddisfacente perché conferiva dinamismo alla mostra e alleggeriva quella pesantezza istituzionale che invece era caratterizzata dai quadri di grande formato che ho esposto. Sulla parete accanto ho disegnato direttamente sul muro un grande personaggio lunare dal cui ventre aperto uscivano questi tonni che convergevano verso la Sicilia. Era come se tutta la mostra scaturisse da quel disegno sul muro.
 

 
Fulvio Di Piazza | Pacific

Galleria Giovanni Bonelli
via Porro Lambertenghi 6, Milano
www.galleriagiovannibonelli.it

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