Sfogliare le pagine di FRAC significa rievocare l’odore “antico” di quelle riviste e di quei cataloghi in cui i galleristi difendevano il senso delle loro scelte artistiche, consegnando così alla cara vecchia carta le riflessioni di chi non solo nell’arte investiva, ma anche faceva attività culturale. Questo, eoni fa. Oggi, invece, la spiegazione della mostra viene più spesso demandata alla retorica dell’ufficio stampa a mezzo web (lunga vita agli uffici stampa) e, quando va bene, al pieghevole destinato alla stessa visibilità della ricevuta dimenticata al casello dell’autostrada.
Inventarsi una rivista, fare un nuovo quotidiano, aprire una casa editrice o peggio una libreria non saranno scelte suicide quanto aprire una galleria d’arte in Italia, ma rappresentano sicuramente opzioni in controtendenza, tanto per dirla con un eufemismo. Sì, gli editori si comprano quotidiani e altre case editrici, ma qui non stiamo parlando di consigli d’amministrazione dai quarti di nobiltà ai quali baciare la pantofola, bensì di galleristi più o meno folli che, non contenti di investire sui giovani artisti, di difenderli sul mercato dell’arte contemporanea in Italia e di fargli i cataloghi, decidono di dar vita a una rivista: la loro rivista, la rivista della galleria e degli artisti rappresentati.
Sottoinsieme dell’insieme: non sto parlando di tutti i galleristi (lunga vita ai galleristi). Massimo De Carlo e Massimo Minini ed Emilio Mazzoli non hanno bisogno d’elogi: sono potenti non perché sian bravi, ma perché portano in Italia artisti potenti. Qui mi riferisco invece a quei galleristi che hanno il coraggio di fare le mostre ad artisti di prima mano collocandone sul mercato la produzione a prezzi di…mercato. Non è facile difendere un giovane artista.
Siamo nani sulle spalle dei giganti e quindi abbiamo la vista lunga: ecco perché la scelta di Federico Rui di dare alle stampe il primo numero di FRAC ci sembra così incredibilmente inattuale.
FRAC è nello stesso tempo l’acronimo di Federico Rui Arte Contemporanea e l’immagine per cui la parola sta: gagliardo, no?, essendo una pubblicazione d’arte destinata al mainstream (“Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”, il Perozzi dixit).
Edizione limitata, formato 23×15 centimetri, pagine non numerate e intestazione con un font che fa molto anni Trenta, FRAC è ardimentosa come il primo numero di un nuovo quotidiano, con l’editoriale del gallerista.
Già me l’immagino il critico bru bru che alza il sopracciglio perplesso: e allora?, niente testi critici in questa rivista? No, niente testi critici, perché, come scrisse Federico Rui in un catalogo di sei anni fa, “Non sono un critico, ma un gallerista. Eppure, proprio per questo motivo, credo di dover essere il primo a motivare le mie scelte espositive”. Tiè.
Chissà poi se un giorno leggerò anche questa frase: “Non sono un critico, ma un artista. Eppure, proprio per questo motivo, credo di dover essere il primo a motivare le mie scelte artistiche”, magari in esergo a una rivista di artisti che non si genuflettono cappello in mano al critico di turno.
Comunque vada, ne parliamo col diretto interessato (no, non il critico di turno).
Caro Federico, perché creare una “tua” rivista?
Non la chiamerei rivista, perché è una pubblicazione non periodica e senza scadenza. Potremmo definirla un’edizione indipendente a tiratura limitata, fruibile sia in versione cartacea che on line. Ogni numero è dedicato a un artista, o a un tema, e verranno coinvolte diverse personalità non solo del settore. Vorrei che fossero gli stessi artisti a raccontarsi in prima persona, in modo che si possa instaurare di nuovo una sorta di dialogo che al momento manca. Fino agli Anni Settanta gli artisti si frequentavano, i galleristi andavano negli studi, i critici guardavano le opere dal vero: c’era uno scambio culturale e un confronto che portava a nuove idee e a mettersi sempre in discussione. Oggi, paradossalmente, la facilità di comunicazione ha in realtà cancellato il dibattito.
A chi è rivolta?
A tutti gli appassionati. A tutti coloro che non entrano in galleria. A tutti coloro che passeggiano per le fiere. A tutti colori che visitano le mostre su facebook. Abbiamo dei grandi mezzi, FRAC è un momento di approfondimento “leggero”, che si legge in pochi minuti consentendo di ampliare la conoscenza della pittura e dell’artista.
Prevedi collaborazioni con altre gallerie?
Assolutamente si. Uno dei limiti del sistema italiano è quello di non aver saputo coltivare le collaborazioni, ma di aver sempre guardato con invidia e sospetto l’operato dei propri colleghi.
Cosa distingue FRAC dalle consimili imprese editoriali degli anni Settanta?
Distinguerei tra due tipologie di pubblicazione. Da un lato i “manifesti” o le riviste di una corrente. Dall’altro i “notiziari” (mi viene in mente il N.A.C. – notiziario arte contemporanea – che ebbe un buon successo alla fine degli Anni Sessanta). Per quanto riguarda i primi, FRAC non è schierato, se non per una predilezione verso la pittura. Per quanto riguarda i secondi, assolvono benissimo alla funzione di informazione su mostre e calendari diverse testate online e offline (e sempre facebook ci tiene costantemente aggiornati sulle inaugurazioni, e dove non arriva lui ci arrivano le newsletter). FRAC non è legato all’imminenza di un evento, ma piuttosto al procedere di una ricerca e all’approfondimento di essa.
Qualche anticipazione sul prossimo numero?
Una giovane pittrice francese, un discorso “sull’oltre” della pittura, un piccolo saggio sul mercato… stay tuned!
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