WHO AM I | Fotografie e video di Silvia Camporesi e Esther Mathis

0 Posted by - December 25, 2013 - Recensioni

Tra me e colui che in me è colui che suppongo, scorre un fiume interminato (Pessoa)

Ed è proprio a questo fiume interminato che le due artiste Silvia Camporesi (Forlì, 1973) ed Esther Mathis (Winterthur, 1985) si rivolgono senza la pretesa di cogliere univoca risposta alla domanda delle domande: chi sono io?

Il paradigma dell’identità dell’uomo del XXI secolo è l’ambiguità liquida, increspata dall’incapacità di entrare in relazione se non in maniera cangiante e perennemente mutevole. L’uomo senza qualità di Musil è diventato l’uomo al quale è stato sottratto il criterio di scelta, quale risultato di una decapitazione feroce finalizzata all’esclusione di qualsiasi affaccio all’oblatività. Siamo in relazione al ruolo che abbiamo, ma soprattutto a quanto peso sopportano le nostre tasche.

Va da sé allora che l’elefantiasi dell’ego, traboccante in sfoghi di arroganza quotidiana, getti fango sul quel terzo occhio che ormai è diventato miope. Ecco che il lavoro delle due artiste, in questo marasma di incertezza, vira umilmente all’accettazione dell’oracolo di Delfi, Γνῶθι σεαυτόν, per liberarsi dalla metamorfosi dell’identità illusoria. Le opere scrupolosamente selezionate dalle curatrici presentano una scelta di immagini fotografiche e video che dialogano perfettamente in un equilibrio estatico di estrema raffinatezza. Tangenti sia per le scelte tematiche affrontate, che per l’intima sensibilità affiorante, Silvia Camporesi e Esther Mathis conducono una ricerca che indaga due emisferi paralleli, l’una quello onirico ed evanescente e l’altra quello fisico e biologico.

Nella serie Stato nascente (2008), ispirata alle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke, Silvia Camporesi ci restituisce il concetto di attesa attraverso un solipsismo mistico di corpi statuari immersi nel ciano totalizzante della fotografia. Un’attesa che placa il respiro ed espande i confini dell’immagine per sinestetico ricordo alla cromia dell’acqua, spuma da cui nasce Venere, ma anche elemento di purificazione per eccellenza. Drappeggi che echeggiano la scultura classica avvolgono i corpi, crisalidi in bilico tra l’ascolto del sé e la percezione di un guizzo di luce vitalizzante per quello stato di morte apparente. L’acqua si fa protagonista nel video DANCE DANCE DANCE  (2007), titolo ripreso dall’omonimo romanzo di Murakami Haruki, in cui una moderna Ofelia ammantata di rosso sospira sospesa in un ciclico richiamo al mito delle sirene.

Il messaggio della Camporesi dunque è chiaro: fare con se stessi quello che Iside fece col suo sposo, ricomporre cioè i pezzi dell’io dispersi nel mare delle illusioni e tentare un imperfetto ma autentico viaggio di migrazione dentro di sé, come suggeriscono le parole di Rilke

Nasciamo per così dire, provvisoriamente da qualche parte; soltanto a poco a poco andiamo componendo in noi il luogo della nostra origine, per nascervi dopo, e ogni giorno più definitivamente

Esther Mathis compie da subito un atto di estremo coraggio e svela se stessa con Untitled01 e Untitled02 , due recenti lavori che restituiscono le immagini di una goccia di sangue ed un capello ad alto ingrandimento. E’ evidente che l’approccio qui si fa più aderente al reale percepito attraverso la soglia del fisico, laddove nel video Schnee (2008) anche il suono felpato della neve che cade sottolinea con estrema grazia la corporeità dell’artista che non cede all’evidenza retinica del bianco, ma che sta come un punto nero inchiostrato senza sospensione sulla pagina vuota. Se per un attimo potremmo pensare all’analogia con il dipinto di Caspar David Friedrich, Monaco in riva al mare, 1808 – 1810, Berlino, Alte Nationalgalerie, subito dopo ci accorgiamo che Esther Mathis non ha nulla di quello spirito tormentato dello Sturm und Drang, piuttosto è sulla soglia della possibilità, sul trampolino dell’inevitabile tuffo nell’ignoto per lacerare quello strato invisibile di impertinenza che tiene avvinghiati al superfluo.

La serie Weiss(2008) conferma questo concetto nel presentare immagini fotografiche sovraesposte in un bianco totalizzante nelle quali scorgiamo sagome di soggetti che svaporano dalla nebbia. Anche qui non si tratta di abnegazione, quanto di desiderio puro di superare le apparenze diafane per dotarsi di quella sostanza materica che abbraccia la labilità del contingente di cui la bolla è metafora: Bubble_01 e Bubble_03 , due still tratti dal video Bubble (2011).

Forse più che alla domanda “chi sono io?” Silvia Camporesi ed Esther Mathis hanno risposto ad un’altra delle domande per antonomasia “dove sono io? ” e la risposta sembra la stessa di Pessoa:

tra il sonno ed il sogno […] dove oggi abito la casa che sono […]

 

 
WHO AM I |Fotografie e video di Silvia Camporesi e Esther Mathis

a cura di Gaia Conti e Cristina Magnanelli Weitensfelder
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