Foto Grafia è il progetto di Luca Massaro, artista emergente che unisce e ibrida il visuale con il testuale. L’autore propone un corpus di immagini che incorporano parole estrapolate dalla realtà quotidiana delle città e che attraverso la rappresentazione fotografica subiscono un ribaltamento di senso.
Chiara Pozzobon: Nella tua serie Foto Grafia ragioni sul rapporto tra significante e significato.
Luca Massaro: Il ragionamento viene dopo, ho scattato le prime immagini per scherzo e la barzelletta è diventata pian piano una seria ossessione personale: sfogliando ora il libro una delle letture possibili è il cortocircuito che si crea fotografando parole e nel leggere immagini, inserendo la didascalia all’interno dell’immagine stessa, trasformando il significante in significato e viceversa.
Per quale motivo hai voluto realizzare un corpus di lavori che leghi immagine e parola?
Le fotografie sono state scattate tra il 2011 e il 2014, esattamente il periodo di università in letterature straniere tra Milano e Parigi: volevo fare lo scrittore o il giornalista e questo lavoro è il risultato del passaggio e cambiamento di aspirazione. Forse pian piano il mio percorso mi porterà a diventare un fotografo-artista senza nessun debito né tensione verso la scrittura, ma per questo primo libro è stato naturale seguire il desiderio di una narrazione per immagini e parole.
Il libro Foto Grafia ha una copertina rigida blu, c’è un significato particolare a ciò?
Il titolo della mia tesi di laurea era Foto Grafia: il rapporto tra immagine e parola nell’era contemporanea, dalle arti visive alla comunicazione, con una copertina blu, standard uguale da sempre in tutte le università. Per il libro fotografico ho scelto con l’editore un titolo e un aspetto semplice e classico che imitasse la tipicità di una tesi di laurea. Per il lavoro precedente L’Aquila e La Rana, l’impaginazione richiamava quella di un giornale quotidiano, pur raccontando una storia mitica. Nella costruzione di un libro mi piace, con l’aiuto di professionisti, pensare a tutto, dall’impaginazione al design grafico, e spesso sfruttare le forme esistenti e i clichè per creare qualcosa di originale e personale.
Prendiamo ad esempio una coppia di foto: Concept e Momento, ce le spieghi?
Più che spiegare una coppia di foto posso dire cosa mi ha portato alla decisione di affiancarle in una doppia pagina: ho seguito un corso interessante di storia della fotografia contemporanea alla Sorbonne, dove didatticamente si era deciso di dividere la fotografia post ‘45 in due scuole, da una parte il “momento decisivo”, da Cartier Bresson al fotogiornalismo, dall’altra la fotografia come pensiero e concetto, da Walker Evans a Jeff Wall. Oggi non mi sembra così necessario scegliere, come altri contemporanei ci insegnano la fotografia può essere visione personale del mondo e pensiero intraducibile. Nelle pagine seguenti ci sono altre declinazioni (come “Vision” o “Vedere” con un punto interrogativo): preferisco lasciare la risposta al lettore e non limitare la fotografia a una sola definizione.
Il tema dello sdoppiamento è una costante nei tuoi lavori.
Confrontando di recente i due ultimi lavori per una mostra a Roma, mi sono accorto di come l’intersezione tra Foto e Grafia possa corrispondere allo sdoppiamento tra L’Aquila e La Rana, o nel libretto precedente Ukiyo-e alla congiunzione di Oriente e Occidente. In Oriente l’accezione di personalità è diversa dalla nostra e lo Ying-Yang cinese o i Gemelli astrologici credo rappresentino meglio il mio modo di essere: non sono un fan di teorie new-age né un esperto di oriente quindi la farei più semplice dicendoti che chi mi conosce sa che sono ironico e leggero, pesante e noioso, solare ed entusiasta, misterioso e malinconico. Consciamente o inconsciamente tutto questo rientra nel mio lavoro: poi il medium fotografico stesso è caratterizzato da questo sdoppiamento spaziale e temporale, da Barthes alla doppia articolazione, ecc., ogni giorno divido il mio lavoro tra fotografie personali e commissioni, idee pagina-libro e parete-mostra, scrittura e immagine. Alighiero e Boetti “raddoppiava-dimezzando” piegando un foglio di carta, e consigliava di non “privilegiare mai uno dei due termini contrapposti, ma al contrario cercare sempre uno nell’altro: l’ordine nel disordine, il naturale nell’artificiale, l’ombra nella luce e viceversa”.
Le fotografie che accosti sono statiche o intercambiabili?
Ogni volta che una fotografia è guardata assume inevitabilmente un nuovo significato, e niente è statico: se due immagini sono affiancate c’è un motivo preciso, ma è sempre legato al medium e alle condizioni di lettura. Poi le cose cambiano dalla doppia pagina del libro alla parete della mostra. Non escludo che immagini commissionate o tratte da vecchi lavori possano essere riprese in nuovi contesti. Provo però a sfruttare in maniera specifica le caratteristiche di ogni medium.
Quando realizzi un’opera esiste fin da subito una progettualità chiara o successivamente vi attribuisci un senso?
Ogni lavoro credo nasca da un bisogno, poi da un’idea, che però cambia durante la realizzazione; la fotografia è per natura ambigua e in un’idea realizzata di vari anni è bello scoprire nuove interpretazioni anche in retrospettiva, guardandolo con occhi diversi o attraverso quelli di altre persone.
Come ti confronti con il tuo conterraneo, Luigi Ghirri?
Ho scoperto la fotografia con un libro di Ghirri da sempre nella libreria dei miei genitori (non fotografi). Devo tutto il mio percorso iniziale alle sue immagini e anche molto ai suoi scritti: lo considero con grande affetto e rispetto un padre che mi ha insegnato l’alfabeto e poi a parlare e scrivere, ma una volta adolescenti chi vuole ancora parlare come il proprio padre?
Ti sentiresti di definire la tua ricerca come fotografia di paesaggio?
No, eviterei proprio di definirla, ma tu fai pure. Lego il termine “paesaggio” agli anni di Ghirri e di Viaggio in Italia, e oggi la situazione è diversa, molto più globale, veloce, digitale e virtuale. Nei giardini giapponesi il termine Shakkei indica la finestra sul paesaggio: letteralmente non significa “incorniciare” o “racchiudere”, ma “prendere in prestito il paesaggio”, vorrei che la mia arte (libri e installazioni, fotografie e testi scritti e “presi in prestito”) fosse una finestra sul mio tempo.
La parola come elemento concettuale o come frammento estratto dalla realtà è stata presente in vari lavori del novecento. Senti il tuo lavoro affine alle ricerche di alcuni tuoi predecessori?
Sono al corrente di molti di questi lavori, li ho studiati e approfonditi anche con la tesi, e continuo a scoprirne a posteriori. Quando ho iniziato il progetto conoscevo in particolare i lavori di Boetti, Vaccari e Ghirri, che a loro volta sicuramente facevano riferimento a maestri precedenti. La parola è un elemento antico e contemporaneo allo stesso tempo e per questo credo ci sia spazio per altre combinazioni letterarie e artistiche anche nel prossimo millennio.
Dopo Foto Grafia a cosa stai lavorando?
Rispondo da Brooklyn, New York, dove passerò i prossimi mesi: sono arrivato qui dopo venti giorni di viaggio in macchina negli stati del Nord. Sto lavorando al prossimo progetto libro che unirà queste immagini americane ad altre precedenti. Sarò alla NYABF con il mio editore e continuerò anche con le mostre e presentazioni editoriali di Foto Grafia.
Luca Massaro (Reggio Emilia, 1991) è laureato in letterature straniere (Milano Cattolica e Parigi Sorbonne). I suoi lavori più recenti, che si sviluppano intorno alla congiunzione – e interferenza – fra immagine e testo, consistono in serie fotografiche, installazioni e libri d’artista. La sua prima monografia Foto Grafia (2010-2014) – serie premiata con il Premio Nascimben U25 2014 ed esposta alla Fondazione Benetton – è stata pubblicata da Danilo Montanari Editore nel marzo 2015, e presentata a Milano (MiArt e MIA) e a Roma presso Matèria Gallery con una mostra personale dal titolo quasi-quasi. È co-fondatore di Libri Di Sam Edizioni, una piattaforma sperimentale che unisce l’editoria tradizionale ai suoi corollari virtuali futuri. Nel Settembre 2013 è stato invitato a partecipare a Confotografia, residenza collettiva per la quale ha realizzato il libro d’artista “L’Aquila e la Rana”. Nel dicembre 2012 ha pubblicato con BooksOnLine un innovativo progetto-libreria di Pierre Hourquet, Ukiyo-e, un viaggio fotografico nel “mondo fluttuante” del Giappone contemporaneo. La serie è stata esposta a Parigi alla galleria Point Ephèmère nel Maggio 2013, selezionata per il Premio Prina 2014 e presentata, nel Settembre 2014, alla Triennale di Milano e alla Galleria Ghiggini di Varese. Un’edizione speciale di Ukiyo-e è stata curata da Alberto Casiraghy per Edizioni Pulcinoelefante nel Settembre 2014. Vive e lavora a Milano.
Leggere Parole – Light Words, Luca Massaro
a cura di Carlo Sala e Gianpaolo Arena
In F4/Un’idea di fotografia
Foyer di Sant’Artemio, Treviso, 3 luglio – 23 agosto 2015
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