A Los Angeles quest’anno hanno lanciato, dopo diciassette anni di successi, l’edizione americana di Paris Photo, la più prestigiosa fiera della fotografia del mondo, instituita nel 1996. Milano non dorme e segue l’onda del dilagante interesse per la fotografia che catalizza estimatori e collezionisti anche non intenditori. Fabio Castelli, ideatore e direttore di MIA – Milan Image Art Fair, ha creato una fiera milanese, aperta non solo alla fotografia, ma alla dialettica con l’arte contemporanea.
Capiremo come, in questa intervista rilasciata in esclusiva per KritikaOnline.
Chi è Fabio Castelli e quando nasce il suo interesse per la fotografia?
Dalla mia passione per l’arte e in particolare per la grafica, cui mi sono dedicato sin dalla fine degli anni Sessanta. Credo di poter identificare il momento di passaggio tra la grafica e la fotografia quando, riflettendo sulla pratica ottocentesca del cliché-verre (un disegno fatto su un vetro traslucido che viene messo su una carta fotosensibile ed esposto alla luce per poi sottoporre la carta al processo di sviluppo e fissaggio) mi resi conto delle affinità che univano i due procedimenti di raffigurazione del mondo, soprattutto la possibilità della loro riproducibilità in termini definiti da una tiratura. Questo mi portò gradualmente a interessarmi di fotografia, iniziando una raccolta con la stesso approccio con cui avevo impostato quella di grafica. Quella di fotografia avrebbe dovuto raccontare la sua storia iniziando dal disegno fotogenico. In tempi non sospetti, quando in Italia non esisteva un mercato della fotografia d’autore, ho quindi cominciato a collezionare opere di autori noti e meno noti, conscio ovviamente che prima o poi bisognava superare l’enorme ritardo italiano in questo campo rispetto a quanto da tempo accadeva nei Paesi economicamente avanzati. Ma oltre a questo aspetto “operativo”, vorrei sottolineare che una collezione deve essere anche carica di passione e devo dire che la scoperta e la mia totale dedizione alla fotografia è motivata soprattutto da una grande passione per questo mezzo di espressione.
Quando e perché è nata MIA – Milan Image Art Fair?
MIA, come idea, nasce nel 2009-2010 e si concretizza nella prima edizione del 2011. La sua nascita, come tutti i progetti che vogliono guardare lontano e porsi come esperienze di rottura e nello stesso tempo di consolidamento delle trasformazioni in atto nella società, non è casuale o opportunistica, ma proviene da molteplici necessità scaturite dalle mie esperienze precedenti nel campo della fotografia. A un certo punto è prevalsa la valutazione di un bisogno diffuso, nell’articolato e acerbo campo della fotografia italiana, di “mettere ordine”, organizzare, proporre nuovi scenari, nuove opportunità ai fotografi, alle gallerie, ai collezionisti e a tutti gli operatori del settore con un progetto che potesse coniugare qualità delle proposte e nuovi modi di rapportarsi tra autori, operatori e fruitori di fotografia. La scelta degli spazi di Superstudio Più a Milano è dettata da esigenze logistiche perché mi pare che tale contenitore e la città in cui opera siano i più adeguati alla manifestazione.
Quest’anno quali saranno le novità rispetto alle edizioni precedenti e quali sono gli obiettivi della fiera?
La fiera è nata da un progetto generale di largo respiro che si basa anche sulla possibilità di far emergere nuovi talenti, di essere un territorio di coltura per autori poco conosciuti che a volte le strutture chiuse e autoreferenziali delle gallerie non consentono di far conoscere a un pubblico vasto. Ad ogni edizione, in base alle esperienze precedenti, cerchiamo di aggiustare il tiro, migliorando e diversificando l’offerta di eventi. In particolare quest’anno, tra le tante novità, ricordo “l’angolo del collezionista” dove è presente un laboratorio di restauro, un fornitore di materiali per la conservazione, un produttore di cornici particolari in legno e uno per quelle di alluminio, un broker assicurativo specializzato e infine un angolo dove si presentano i testi fondamentali per sviluppare un collezionismo consapevole.
Inoltre introduciamo un premio dedicato agli archivi fotografici da salvare; una sezione dedicata al rapporto tra gli artisti e i loro stampatori. La novità assoluta dell’edizione 2013 è l’iniziativa denominata Codice MIA, una lettura portfolio del tutto innovativa perché gli artisti selezionati potranno sottoporre i loro lavori, con colloqui individuali, a un panel di esperti internazionali, collezionisti e curatori, quindi direttamente a contatto con il mercato, che potranno loro aprire nuove opportunità al di fuori dell’Italia. Inoltre gli artisti selezionati per Codice MIA concorreranno all’assegnazione di uno stand gratuito nell’edizione del 2014.
E infine l’ultima edizione del Dummy Award, il prestigioso riconoscimento che premia le migliori prove di libri di fotografia.
Come avviene la selezione delle gallerie?
Sin dall’inizio l’equipe di critici e curatori che mi affianca in questo impegnativo progetto ha stabilito che il primo criterio per rendere credibile la manifestazione deve essere l’alta qualità degli artisti e delle opere presentate. Parimenti questo non significa fossilizzarsi su nomi famosi e consolidati perché riteniamo che il MIA debba essere soprattutto una palestra per far emergere nuovi talenti e nuovi linguaggi: da qui la presenza di molti giovani o autori meno conosciuti che per i motivi più diversi hanno difficile visibilità oltre quella circoscritta delle gallerie di riferimento.
Cosa si aspetta dall’edizione di quest’anno e come viene considerato il MIA all’estero?
Ci aspettiamo un crescente interesse e partecipazione di operatori in tutta la varietà che questo termine comporta: dal raffinato collezionista che arriva alla fotografia dalle arti visive tradizionali alle nuove generazioni di collezionisti giunti direttamente alla fotografia; dal critico colto e competente al fotoamatore evoluto che riesce a vedere in un sol colpo le opere dei maestri di riferimento osservate sui libri o sulle riviste; dai galleristi con alle spalle anni o decenni di esperienza e che si sono affacciati da poco alla fotografia, a quelli che hanno fondato la loro galleria come specializzata in fotografia. I numeri delle edizioni precedenti in termini di partecipazione e di transazioni effettuate – nonostante il periodo di crisi economica, le vendite hanno confermato performances notevoli quando poteva essere raggiunto un rapporto ottimale qualità/prezzo – non solo hanno confermato la bontà del progetto ma ci incitano a proseguire con sempre maggiore impegno. Un successo riscontrabile anche nella rassegna stampa nazionale e internazionale e nella presenza di molte gallerie straniere.
Su quali fotografi emergenti punta quest’anno?
Personalmente come collezionista sono particolarmente interessato alla giovane fotografia italiana.
Se dovesse fare una classifica, in quale paese la fotografia è promossa meglio e viene considerata come una forma di investimento e di valorizzazione del patrimonio culturale e artistico contemporaneo?
La risposta è facile, basta consultare su qualsiasi rivista specializzata i risultati delle vendite e delle aste internazionali: ovviamente ai primi posti ci sono quei Paesi dove il mercato della fotografia è presente da molti decenni, con in testa gli USA, la Gran Bretagna, la Germania e la Francia. Come nel campo dell’arte tradizionale attualmente si stanno aprendo grandi prospettive con i nuovi mercati orientali, la Cina e alcuni Paesi Arabi.
La fotografia in Italia, rispetto all’estero, è più o meno interpretata come un’espressione della cultura contemporanea e specchio del pluralismo espressivo delle arti visive: perché ?
Perché è nella sua natura: la fotografia è la possibilità di raccontare il mondo, di essere espressione delle problematiche della vita e della storia attraverso una rappresentazione bidimensionale di quello che comunemente viene definito reale, percepibile o anche visionario. Cambia lo strumento, non la sostanza della rappresentazione.
Come è cambiata la fotografia negli ultimi vent’anni, dopo l’avvento del digitale? Perché secondo lei è così amata da un pubblico anche non esperto e dai giovani?
La risposta prosegue l’affermazione precedente: cambia il metodo operativo, non la sostanza. Cambiano i tempi di realizzazione e fruizione, più immediata nella esecuzione, nell’elaborazione e nella distribuzione. Una fotografia scattata in qualsiasi capo del mondo può essere immediatamente vista e pubblicata in qualsiasi parte del mondo. Questa immediatezza è probabilmente il plusvalore, soprattutto verso i giovani, dell’era digitale.
Chi sono i nuovi collezionisti d’arte e di fotografia ?
Sono soprattutto i trenta/quarantenni approdati direttamente alla fotografia e che, negli ultimi anni, in seguito anche alle incertezze finanziarie globali, vedono in questo investimento una buona opportunità con un range molto vasto che va dai prezzi proibitivi di alcuni autori internazionali alle poche centinaia di euro degli autori più giovani.
Cosa pensa dell’attività del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo e perché non fa sistema con le numerose gallerie milanesi che ospitano mostre di artisti-fotografi per potenziare programmi espositivi o incontri di approfondimento a lungo termine?
Il Museo di Cinisello è un’esperienza importantissima perché è la prima realizzata in Italia a livello pubblico: proprio questo aspetto sta penalizzando brutalmente il Museo perché la crisi economica che da qualche anno attanaglia le istituzioni pubbliche colpisce per prima cosa la cultura. Come tutte le istituzioni culturali italiane pubbliche, avendo poche risorse, attualmente si batte per la sopravvivenza. Che io sappia, realizza collaborazioni con altre istituzioni e spazi pubblici prestigiosi come la Triennale e lo Spazio Oberdan di Milano. Effettivamente mi pare che manchi una collaborazione più estesa con i soggetti privati anche se con il MIA c’è da sempre un ottimo rapporto che anche quest’anno si concretizza nella partecipazione del Museo a una serie di nostre iniziative..
Quali sono le differenze, se ancora esistono, tra il fotografo e l’artista-fotografo?
È un falso problema: l’opera del fotografo se ha caratteristiche valide o nel campo della documentazione “pura”, o nel campo della ricerca formale o in altri modi espressivi si colloca di per sé nel campo dell’arte. Distinguere tra il fotografo di documentazione o quello che fa pura ricerca formale è soltanto un problema dell’uso di un diverso linguaggio, non di status.
Perché Milano fatica a rilanciarsi come capitale italiana della fotografia, considerando l’alta concentrazione di eventi e gallerie dedicate a questo linguaggio sempre più amato da un pubblico eterogeneo?
Non credo che Milano abbia questo problema particolare: la città esprime esattamente quanto accade nel mondo più vasto dell’economia o dell’arte e del suo mercato. È una grande città, da sempre la prima in Italia per l’economia e per il mercato dell’arte e, per la fotografia in particolare, la prima per gli aspetti legati alla moda, alla pubblicità e all’editoria. Che poi non ci siano ancora strutture fotografiche adeguate, sia pubbliche che private, all’importanza di questi settori rispecchia esattamente i vizi italiani di una sorta di “anarchia programmata”.
Basti pensare al settore della moda, tra i primi al mondo, che ancora, dopo anni di promesse e dibattiti, non riesce a darsi una struttura museale degna.
Paris Photo quest’anno ha lanciato un’edizione americana a Los Angeles, riscuotendo grande successo. Ebbene, quando il MIA sbarcherà oltreoceano, magari anche in Cina?
Effettivamente anche noi sbarchiamo oltreoceano però dall’altra parte, in Asia, a Singapore, dopo aver analizzato la situazione di quella parte di mondo e verificato l’esistenza di tutte le condizioni che possono rendere promettente questa scelta da parte dei nostri espositori. Dedicheremo uno spazio, nella prossima edizione MIA, per dare tutte le informazioni utili a valutare questa opportunità.
MIA – Milan Image Art Fair
Superstudiopiù, via Tortona 27, Milano
info@miafair.it
www.miafair.it
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