Ventidue Fender Stratocaster griffate da altrettanti artisti italiani e non, scelti da Luca Beatrice per tributare l’ultimo mezzo secolo di cultura musicale italiana in coincidenza con l’arrivo delle prime Fender nel cosiddetto Belpaese, anno Domini 1962. In mostra a Bologna, nelle elegantissime sale del Museo della Musica consacrato a sei secoli di storia della musica europea, fra dipinti, antichi strumenti musicali, volumi, partiture e libretti d’opera, stanno, fisse e sussistenti come monoliti kubrickiani, le Stratocaster customizzate e reinterpretate, ma anche i paraphernalia visuali di una microstoria della musica italiana dagli anni Sessanta a oggi – da Adriano Celentano agli Afterhours passando per gli Area e i Pooh -, accompagnata da una serie di scatti di Guido Harari, Efrem Raimondi, Caterina Farassino e Paolo Proserpio.
Gli artisti invitati da Luca Beatrice hanno reinterpretato la celeberrima seicorde, vuoi con interventi diretti sullo strumento, vuoi con altri mezzi espressivi – fotografia, pittura -, realizzando vere e proprie Stratocaster signature, come la Stratocaster My Home a croci tatuate di Franko B o la Stratocaster caught-in-a-mosh di Dario Arcidiacono, Evil Fender Box, pittata a pennarello in un modo che sarebbe piaciuto tanto a Dan Spitz degli Anthrax (ma quel box che la fagocita guasta l’opera in sé).
Menzione d’onore alla Stratocaster in cartone e colla di Chris Gilmour, che vedemmo vincitore del Premio Cairo a Milano nel 2006 con la sua scultura Ape Risciò, nonché alla Stratocaster-mobile di Cuoghi e Corsello, vera e propria metamorfosi fedele, transustanziazione laica e plastica e-pure-di-design del sacro oggetto musicale. Senza dimenticare la Stratocaster gentile di Valerio Berruti, affrescata con la silhouette di un bimbetto intento a suonare i suoi primi accordi, e il Discobolo rockarolla del collettivo torinese The Bounty Killart, tanto più l’eccellente realizzazione di Hubertus Von Hohenlohe, che ha immerso la sua Stratocaster in un mare magnum di parole e immagini, mimetizzata da migliaia di pagine di riviste e giornali.
Stratocater griffate ma non solo, si diceva. In mostra anche la Fender immortalata dall’eccellentissimo Carlo Benvenuto, che già vedemmo a Milano da Suzy Shammah, fotografata in piedi, immota e silente contro un tavolino capovolto. E la Stratocaster de-vulgari-eloquentia di Giuseppe Veneziano, che dipinge Dante Alighieri in chiarissima postura mentre compulsa non la Divina Commedia ma, toh, una Stratocaster: il titolo dell’opera è Stairway to Heaven, bellissimo, proprio per il suo duplice valore simbolico che non necessita di spiegazioni (anche se Jimmy Page suonava una Gibson, ma veh…).
Forse la Stratocaster, simbolo per eccellenza del fare rock, non si adatta a TUTTI e cinquanta gli anni della storia musicale italiana presi in esame (in fin del conto l’Italia resta il paese di Sanremo e nel recente passato il suolo italico, vuoi per conformismo, vuoi per tradizione, non è stato particolarmente fertile per il rock), ma Fender Rewind è da visitare per due motivi: per il valore qualitativo delle opere e degli artisti (quale più, quale meno, si tratta in generale di proposte degne) e per l’ordinamento in sé della mostra, evento istituzionale ma non noioso, realizzato con criterio e professionalità – gli attori coinvolti nel progetto sono eccellentissimi, Museo Internazionale della Musica, Virgin Radio, M. Casale Bauer, Fender Corporation U.S.A. – e materiale documentale e didascalico eccellente – un catalogo splendido con un bel testo non critico di Luca Beatrice.
Se volete vedere come si fa una mostra, andate al Museo della Musica di Bologna.
Rewind. 50 anni di Fender in Italia
Museo Internazionale e Biblioteca della Musica
Palazzo Sanguinetti – Strada Maggiore, 34
40125 Bologna
Orari
mart/ven: h 09.30-16.00
sab/dom e festivi: h 10.00-18.30
chiuso lunedì
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