EDVARD MUNCH A GENOVA

0 Posted by - January 31, 2014 - Recensioni

Vivere è dar vita all’assurdo. Dargli vita è innanzitutto saper guardarlo

Albert Camus, Il mito di Sisifo

Albert Camus, nel Mito di Sisifo, scriveva:

Se mi persuado che questa vita non ha altro aspetto che quello dell’assurdo, se provo che tutto il suo equilibrio dipende dalla perpetua opposizione fra la mia rivolta cosciente e l’oscurità in cui questa si dibatte, se ammetto che la mia libertà non ha senso che rispetto al suo destino limitato, allora devo dire che ciò che importa non è vivere il meglio, ma il più possibile. Non devo chiedermi se ciò sia volgare o nauseante, elegante o degno di essere rimpianto. (…) Qui bisogna essere semplicisti. A due uomini che vivano lo stesso numero di anni, il mondo fornisce sempre la stessa somma di esperienze. Siamo noi che dobbiamo essere coscienti. Sentire la propria vita, la propria rivolta e la propria libertà il più intensamente possibile. (…) Siamo ancora più semplicisti: diciamo che il solo ostacolo, il solo fallo nel conseguimento della vittoria è costituito dalla morte prematura.(…)

Insomma, secondo questa teoria, Edvard Munch, nonostante tutte le sue tragedie, i suoi lutti e la sua psicosi, sarebbe uscito di scena in maniera vittoriosa. Sconfiggendo l’assurdo.

Anche se la vita, Munch, non è che se la sia goduta granché. Forse la vecchiaia se l’è vissuta un po’ meglio. Perché a un certo punto basta angoscia, basta ansia, basta disagio. Ti rassegni e aspetti la morte, non c’è altro da fare. Emblematico il quadro Tra la pendola e il letto (1940-1942; non c’è in mostra, non illudetevi),  dove regna sovrana la simbologia. Il letto, l’orologio, Munch in piedi, in attesa. Vecchio. I quadri dietro di lui che sono stati la sua vita. A questo punto della sua carriera, Munch aveva già da un pezzo rinunciato al mondo là fuori. Nei suoi dipinti comincia a rappresentare un universo intimo, circoscritto in una stanza, dove pochi sono ammessi, solo modelle e qualche amico. Regna il vuoto, la desolazione.  Altro che vittoria, è la disfatta. La fine si avvicina inesorabile, anche se a differenza di sua madre, suo padre, suo fratello, le  sorelle, è vissuto molto a lungo, fino a ottantuno anni. In questo sta il suo umile trionfo. Un artista che probabilmente era talmente terrorizzato dalla morte che, seppur sopraffatto da un grave disagio esistenziale, non si uccise. Perché la sua salvezza fu proprio la pittura. In qualche modo, quella vita, l’amò, sempre, tanto da scrivere:

Questa paura della vita è cresciuta in me dal momento in cui il pensiero mi ha attraversato la mente… Mi è spesso sembrato di esserne dipendente. Ciononostante mi è necessario e non vorrei stare senza

E nella sua famiglia non mancò un’altra costante: la follia. Di cui Munch in qualche modo fece tesoro, che si rivelò un pozzo da cui attingere per i suoi dipinti. Follia che personalmente lo sfiorò soltanto, e che anzi, riuscì in parte a evitare grazie alla funzione riparatrice e terapeutica della sua pittura (Se volete saperne di più:  Tra vita e arte. Follia e morte in Edvard Munch).

Munch è un mostro sacro dell’arte. Nel 150º anniversario della sua nascita – per l’esattezza, l’anno scorso – Oslo l’ha commemorato in tutte le maniere possibili, tirando fuori i quadri anche dagli scantinati. E Genova, anzi, l’Italiamedia (in questo caso non l’italiano medio) cosa decide di fare? Una mostra su Munch. Ne hanno approfittato, come biasimarli. L’urlo lo riconoscono anche i bambini dell’asilo. Munch lo conoscono anche quelli che di arte non capiscono un cazzo. Vuoi vedere che una mostra su Munch attira una marea di visitatori? Be’ i visitatori, infatti, Palazzo Ducale li avrà attirati sicuramente, ma con una mostra molto carente. E’ iniziata il 6 novembre 2013 e finirà il 27 aprile 2014. Curata da Marc Restellini, direttore della Pinacotheque de Paris.

Gli organizzatori dell’evento hanno detto: “Realizzare questa mostra proprio nell’anno delle celebrazioni e con le enormi difficoltà legate ai prestiti di Munch è stato un miracolo. La scommessa è stata altissima, ma vedremo opere straordinarie, concesse dai più importanti collezionisti di Munch“.

Più che un miracolo è stato una follia. Tutte le opere se le sono tenute ben strette a Oslo. A Genova, invece, sono arrivate solo le opere meno importanti: xilografie, litografie e calcografie di quadri famosissimi cui Munch lavorava in maniera ossessiva, facendone diverse copie, anche della stessa immagine, tutto per non fermarsi a pensare, a riflettere, per riempire quel vuoto assordante che la morte della madre – e non solo – gli aveva lasciato dentro. Stiamo parlando di opere che comunque è sempre un piacere vedere, come Vampire II 1895 pietra litografica, inchiostro e raschietto, Madonna, 1896, litografia e Madonna, 1895 – 1902, sempre litografia. Le ragazze sul ponte, 1918, disegno a colori e La bambina malata, 1894, puntasecca, Gelosia II, 1896, litografia. Qualche dipinto, quello dei Bagnanti, 1904-1905 , olio su tela, Dopo il bagno, 1892, olio su tela e un paio di paesaggi, tra cui Tronchi robusti nella neve, 1923, olio su tela. Il resto non rende giustizia alla grande arte di Munch, neanche i ritratti che faceva su commissione, come quello fatto a Leopold Wondt, 1916, olio su tela, ad Annie Stenersen, 1934, olio su tela  e quello a Jappe Nilssen in una sedia di vimini, 1925-1926, olio su tela. O quelli della Collezione Linde (Max Linde, il medico che ospitò a lungo Munch nella sua magione di campagna). No, non ci siamo.

Non era meglio lasciar perdere, invece di organizzare una mostra così durante l’anniversario dalla nascita? E oltre il danno la beffa. In fondo alla mostra, che finisce dopo solo cinque sale, cosa troviamo? Warhol after Munch: una mostra nella mostra, una serie di opere realizzate da Andy Warhol e ispirate alla produzione di Munch. Sei in tutto: la Madonna, l’Autoritratto, L’Urlo ed Eva Mudocci, lʼamata violinista. No comment.

Ammiriamo il coraggio di scrivere nel comunicato stampa una cosa del genere: “Munch è noto al mondo per LʼUrlo; ma LʼUrlo rappresenta quasi “un incidente di percorso”. Quante volte gli artisti di ogni categoria (arte, cinema, letteratura) diventano famosi per un’opera “mediatica” che in alcuni casi finiscono addirittura per rinnegare? La stragrande produzione di Munch, il vero lavoro dell’artista, quello che egli stesso considerava “degno di essere venduto” è quello che viene sintetizzato dalle 80 opere esposte a Genova, selezionate in base a questo criterio.”

Non era meglio dire: “L’Urlo non lo prestano. I quadri più belli neanche. Se li tengono stretti in Norvegia, sempre, figuriamoci durante il 150° anniversario dalla nascita” ? Qui ci sono alcune opere provenienti da qualche collezionista privato che ha avuto pietà e che ha concesso di fare questa “retrospettiva” su Munch.

Non si è sentito nessuno parlare bene di questa mostra e chi l’ha fatto è un ipocrita.

L’anno scorso, a Oslo, da Giugno a Ottobre, si è tenuta la mostra Edvard Munch. 1863-1944 dove c’erano tutti, ma proprio tutti i capolavori dell’artista e anche le opere minori e anche quelle mai viste e anche quelle famose litografie, xilografie et cetera che Munch certamente riteneva “degne di essere vendute”. Quella sì che è stata una mostra dignitosa, un po’ come quella che si tenne a Milano a Palazzo Reale nel 1985 dal titolo Munch. Lì sì che c’era Munch! C’era Ragazze sul ponte (non il disegno, ma quello “vero”, quello dove le tre ragazze si affacciano sulla mente di Edvard), c’era La bambina malata (idem come sopra. E ancora Autoritratto – Uomo che passeggia di notte, Tra il letto e l’orologio, gli studi della retina malata dell’artista, La morte nella stanza della malata, Madonna, Vampiro e Autoritratto all’inferno. Anche L’urloAh, no, ma L’urlo è stato solo un “incidente di percorso”, dimenticavo, quindi, chi se ne frega.

Edvard Munch | La grande mostra a Palazzo Ducale
a cura di Marc Restellini

Palazzo Ducale, Genova
www.mostramunch.it

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