E’ solo per un apparente paradosso se una mostra di arti visive, come quella di Edgar Orlaineta in corso da Federico Luger, è in special modo dedicata (anche) a chi vedere non può. Luger è un gallerista coraggioso, spesso ordina mostre caratterizzate da un’estetica non “facile” e questa non fa eccezione. L’antefatto: Alvin Lustig fu un grafico e designer che nel 1947 realizzò un pattern grafico – Incantation– ispirato alla scrittura geroglifica, della cui paternità ahilui non potè godere: morì a quarant’anni per complicazioni derivate dal diabete, patologia che negli ultimi anni di vita lo portò a una condizione di pressoché totale cecità.
With the eye in the hand/with the hand in the eye, after Alvin Lustig’s “Incantation” è il progetto di Edagr Orlaineta ispirato al lavoro di Alvin Lustig e consacrato a quelli che possiamo chiamare gli “schemi” di attivazione dei sensi per mezzo dei quali è possibile la conoscenza del mondo, dimostrando altresì come design e arte, lungi dall’essere ambiti disciplinari eteronomi, concorrano a fare del corpo nella sua totalità una “macchina” di conoscenza: contrariamente a quel che accade, non abbiamo a che fare con un designer che si dà all’arte, bensì con un artista visivo che si ispira all’universo del design, realizzando un tributo a un creativo che, a prescindere dalla cecità, perseverò nella propria produzione estetico/visuale come Beethoven, che continuò a comporre musica nonostante la sordità.
E di fatto, tributo dei tributi, fra le opere in esposizione vedrete pagine di un libro redatte in alfabeto Braille, invito alla visione tutt’altro che didascalico, pur se, a detta di chi scrive, è il lavoro meno “potente” dell’esposizione, pur paradigmatico nella sua semplicità del rapporto di empatia che si realizza fra osservatore e osservato.
Appena entrati in galleria, vedrete sulla parete di sinistra una grande tela, sulla cui superficie si dipana una lunga teoria di grafemi, la compilazione calligrafica di un alfabeto non-esistente e che pur tuttavia trova la propria ragion d’essere nell’intravisione noetica di Alvin Lustig, riconducibile per recondite armonie alla scrittura geroglifica, un codice verbale che noi tutti riconosciamo, anche se non sappiamo un’acca dell’alfabeto geroglifico.
Una scrittura, questa di Edagr Orlaineta, contrassegnata da vuoti ricorsivi, “riempiti” fisicamente dai loro correlati oggettuali rappresentati dalle rispettive repliche isomorfiche in metallo, che stanno ai piedi della tela, come fossero proprio scivolate a terra. Perché?, si chiederà l’utente della mostra. Semplice: valori tattili. I ciechi, limitati in un senso, usufruiscono di altri sensi in misura estremamente potenziata. Anche qui, il pezzo in sé è forse un po’ didascalico nel suo invito a trasporre il coinvolgimento dell’osservatore da una direzione eminentemente visuale a una tattile, ma forse anche questo passaggio era in fin del conto necessario.
Il valore simbolico del codice calligrafico viene ribadito dal ricamo su stoffa al piano inferiore della galleria, concetto che qui ricorre attraverso un mezzo espressivo differente e che si riverbera in uno dei due pezzi (non) facili della mostra: 1) una camicia, con relativa cravatta annodata al collo, appesa a una gruccia e 2) un’installazione, quattro moduli che constano ciascuno di un libro (la cui grafica editoriale è l’originale di Alvin Lustig) e di nuove repliche isomorfiche di queste stesse razioni calligrafiche che prendono la forma della terza dimensione: il verbo fatto “carne”, l’oggettivazione di una calligrafia inesistente.
Perché tutta la mostra di Edagr Orlaineta è contrassegnata da quel principio che il compianto filosofo Gilles Deleuze, per il quale la filosofia era nientemeno che costruzione di concetti, sintetizzò nella differenza e nella ripetizione: With the eye in the hand/with the hand in the eye, after Alvin Lustig’s “Incantation” replica sé nel suo stesso ordinamento territorializzando lo spazio espositivo diversificandosi nella bidimensionalità e tridimensionalità presentando lo stesso concetto in maniera ricorsiva: With the eye in the hand / with the hand in the eye, sopravvenienza dei valori tattili su quelli verbo visuali.
A giudizio di chi scrive, repetita iuvant, il “pezzo forte” della mostra è proprio la camicia: quale, quale gesto più quotidiano, usuale, abitudinario, che-noi-compiamo-anche-a-occhi-chiusi, dell’annodarsi la cravatta? (possiamo citare anche l’azione dell’allacciare e slacciare il reggiseno: è lo stesso campionato, lo stesso campo di gioco ed è lo stesso sport e presumo che l’altra metà del cielo mi dia ragione).
Andate, guardate e toccate.
Edgar Orlaineta | With the eye in the hand/with the hand in the eye, after Alvin Lustig’s “Incantation”
Federico Luger Nuovo Spazio – FL Gallery
via Circo 1, Milano
www.flgallery.com
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