Dalla Russia con amore, Dasha Shishkin, nata a Mosca nel 1977 e trasferitasi a Brooklyn nel 1993, è arrivata a Milano, dopo le mostre al MOMA, al Whitney Museum e al P.S. 1 di New York, con la seconda personale nella galleria di Giò Marconi, autentico talent scout, dove presenta una carrellata di incisioni di piccolo formato, disegni su carta e lavori di grande formato su tela e su mylar, superficie semi-trasparente su cui applica strati di colore sia sul recto che sul verso.
Al piano terra della galleria, aperta a mostre temporanee di artisti internazionali, fluttuano sulle pareti bianco cangiante sottilissime linee continue, vorticosi ghirigori dai tono accessi in bilico tra simbolismo ed espressionismo, silhouettes misteriosissime che evocano gli ominidi primitivi ritratti nelle grotte dai nostri antenati, volti deformati dai nasi oblunghi e protuberanze falliche come vessillo di energia vitale ed un eros giocoso. Divertono e inquietano le sue pance ridenti, antropoformizzate, animali mostruosi che mescolano reminiscenze oniriche e fiabesche con l’iconografia psichedelica, figure macabre ma non violente che probabilmente avrebbero infiammato l’immaginario di Andrè Breton e di Alfred Jarry. Dasha Shishkin pratica diverse tecniche, incisioni, pastelli, inchiostri su carta, acrilici su tela o superfici di poliestere, strumenti espressivi con cui dà forma al proprio arcipelago visionario: un ibrido di incubi, angosce e desideri in cui rivisita in chiave surreale e ironica saghe popolari russe. Il suo mondo disorientante e seducente si rappresenta con personaggi sproporzionati, sgraziati e teneri, malinconici e bonari, ricorrendosi su sfondi dalla prospettiva inesistente: qui è tutto gioco, caos e piacere. Tra i suoi collezionisti figura Maurizio Cattelan (come dargli torto?). Attenzione, perché tra un mostriciattolo e l’altro fanno capolino opere situate negli angoli delle sale, simulando la collocazione delle icone ortodosse nelle case dei russi “di una volta”.
Certo non vi sfuggiranno i titoli assurdi delle opere, per l’autrice anche il linguaggio è disorientante: infatti i suoi giochi di parole Fucking Children o A Boy’s Best Friend is His Mother e ancora Death is not the worst e altre dichiarazioni ironiche come It takes Money too Feed Pretty Women non fanno altro che esorcizzare il sesso riconfermandone il lato umoristico. Dunque lasciatevi trascinare dall’impatto psichedelico, dall’ondata di colori e dall’energia rivitalizzante di questa mostra di mostri e, senza droghe, vivrete un’esperienza di ecstasy a costo zero.
Dasha Shishkin | Sammy
Giò Marconi
via Tadino 15, Milano
info@giomarconi.com
www.giomarconi.com
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