Dadavenice | Brindisi all’Arte e a Venezia

0 Posted by - August 31, 2017 - Kritika segnala

Può essere un’idea minoritaria rispetto all’opinione comune, ma chi ha la memoria lunga sa bene che vi fu un momento, nel diciannovesimo secolo in Inghilterra, in cui la realizzazione d’arte divenne una vera e propria produzione d’arte, con una intima e particolare connessione delle arti visuali con quelle applicate. Mi riferisco al movimenti inglese Arts and Crafts (Arti e Mestieri), che seppe opporsi alla spersonalizzante rivoluzione industriale con la realizzazione di opere di artigianato di elevatissima qualità, assolutamente personali e ben caratterizzate dal punto di vista stilistico, dotate di un’ “anima” che sopraffaceva l’anonimia della riproducibilità degli oggetti industriali: tu chiamalo design se vuoi. Trai fondatori di Arts and Crafts fu il celebre William Morris, artista e scrittore britannico e anello di congiunzione del movimento con Dante Gabriel Rossetti e la sua scuola dei Preraffaelliti. Il lascito culturale e artistico di questa concezione delle arti si vede tutt’oggi, in Inghilterra e diverse zone europee compresa l’Italia ed è la dimostrazione di una rocambolesca idea che potremmo racchiudere nell’espressione “arte per il popolo” ma senza fare concessioni particolari a questa o a quella visione del mondo: semplicemente, la produzione di oggetti belli che non si esaurisce nell’esposizione alla parete o sul pavimento ma “continua” a vivere anche nelle declinazioni della funzionalità.  Questa “idea” di arte, per altro, trovo che sia “affascinante” per questa ragione: si rende utile agli altri. Di fatto, i maestri del movimento Arti e Mestieri e William Morris in particolare, vedevano in un certo tipo e modo di lavorare, nella fattispecie le corporazioni medioevali, un esempio cui ispirarsi per la sua forte componente corale e collaborativa fra diversi mestieri. Il risultato? Mobili, ri-disegnati e ri-dipinti, tessuti, metalli, in nome di una produzione “aperta” e “amichevole”. Per non dire addirittura educativa.

E io, nel cimento artistico di Debora Basei, vedo riproporsi, in altra misura e in altro contesto ovviamente, questa idea di fondo relativa a un’arte funzionale e condivisa, all’opposto della concezione che fa dell’arte un “qualcosa” per un’elite ristretta di persone, delle quali poi non tutte la “capiscono” veramente.  Approvo inoltre la sua idea di trasmissione di un sapere di ordine creativo, essendo la creatività una risorsa vitale per ognuno di noi.

La sua produzione d’arte del resto non è priva di un ben preciso retroterra storico e culturale, ovvero un altro movimento, il movimento Dada in questo caso, che a suo modo era “contro” una certa idea di arte: irriguardoso, eclettico, “matto”, difensore della libertà creativa e del conseguente utilizzo di qualsiasi materiale, anche quello più banale.

Perché Debora Basei “facitrice di oggetti d’arte” non è solo un’amante dell’arte, ma anche degli artisti e dei loro “difensori”. Da qui innanzitutto il sui personale tributo a Peggy Guggenheim, un tributo disegnato e per la precisione disegnato con le parole, come fosse una lettera indirizzata alla celeberrima mecenate. Così la Peggy Guggenheim “di” Debora Basei va al di là della realtà ferma restando la sua realtà storica e concreta di sostenitrice degli artisti (sarebbe stato scontato dipingere un suo ritratto, no?). Disegnare con le parole significa per Debora Basei dare vita a forme attraverso il codice linguistico, con pensieri sentimenti ed emozioni che diventano l’espressione sensibile di un volto o di un abito.

Sì, perché Debora Basei realizza opere da vivere e indossare (come fece Yves Tanguy per Peggy Guggenheim, che nel 1938, in occasione della personale nella sede londinese della galleria Guggenheim Jeune, le regalò due orecchini, dipinti “miniaturizzati” da indossare); arte in movimento quindi, indossata e vissuta in ogni istante, per un’idea di arte che va oltre la materia e il suo utilizzo e il concetto di design per sfociare in arte condivisa, in un “ambiente” dinamico come è la vita stessa.

Ecco quindi che con questa collezione di arte da indossare Debora Basei unisce le varie forme e dimensioni dell’arte visiva e della creatività (pittura, scultura, installazione, fino a sconfinare nella moda), percorrendo gli stili (romantico, dark, classico, a seconda dei concetti e materiali utilizzati) e superando la staticità dell’identità e della serialità.

E’ dadaismo, è Arti e Mestieri, ma è anche il dinamismo futurista e un po’ sbeffeggiatore del “passatismo”. E’ Debora dada Basei.

Cara Debora, partiamo dall’inizio, cioè dal nome:  “Dada” Debora, un chiaro riferimento al dadaismo…

Si certo, la vita è un po’ “dada” e spesso ci si trova di fronte ad accadimenti che ti fanno capire che è giunto il momento di re-inventarsi, ricrearsi, decontestualizzarsi e rinascere. E nello stesso tempo ti dai un nuovo nome: Dada. Così ho fatto con la mia vita e così lo faccio tutti i giorni con i materiali. Vedere la vita con nuovi punti di vista dovrebbe essere una pillola che prendi la mattina e il the che bevi alla sera prima di andare a letto: rielaborare la tua giornata con il pensiero, rielaborare ciò che ti è accaduto durante le 24 ore in modo creativo. Un po’ come facevano i dadaisti che prendevano oggetti e “gli” davano una nuova identità, anche noi dovremmo prendere tutto quello che ci accade e ci circonda per darvi un nuovo senso. Soprattutto le vicissitudini all’apparenza negative: vanno rielaborate applicando ad esse una veste filosoficamente positiva. I dadaisti ironizzavano sulla vita con gesti all’apparenza insensati, ma in realtà c’era una logica sensatissima: la logica Dada. La logica di essere tutto e il contrario di tutto, la logica di seguire una direzione, consapevole di poterla cambiare in ogni momento.

Ma chi è Debora Basei? Il tuo amore per l’arte nasce da un mestiere vero e proprio…

Debora Basei è il nome che mi è stato dato in questa vita. Quando mi chiedono “chi sono” rispondo che non lo so neppure io, mi scopro ogni giorno…Beh,cerchiamo di dare una risposta concreta altrimenti rischio di “perdere il filo! (e non mi piace diventare incomprensibile anche se spesso è divertente). Sono nata a Conegliano, vissuta in mezzo alla creatività grazie a mio padre che era forza della natura, mi sono diplomata all’Istituto d’Arte di Vittorio Veneto (TV), iscritta all’università.  Alla domanda se il mio amore per l’arte nasca da un mestiere risponderei proprio di no: non so fare un mestiere! Dall’arte nascono i lavori e i progetti ai quali ho dato vita. Ricordiamo Ricrearti, il progetto di formazione, ArtemoxtionCreatureariposo. Le idee in esubero sono l’unica mia certezza e se posso le condivido per questo ho scelto di non fare una cosa sola. Sarei già morta (dentro). Ho avuto la fortuna di lavorare per molto tempo in un’azienda di marketing che mi ha fatto conoscere un sacco di realtà produttive. Quindi ad un certo punto della mia vita ho unito  la mia visione artistica alla produzione e quindi sono nati tutti questi progetti che sicuramente hanno portato innovazione nel mio territorio e, perché no?, in Italia, visto che ho lavorato per importantissime aziende come Axa AssicurazioniAmorim Cork ItaliaAutorità Portuale di VeneziaFincantieri e ho condiviso i miei progetti e collaborazioni con Fiorucci e Dario Fo.

Chi sono gli artigiani che ti aiutano?

Beh, io li ho scelti un po’ strani i miei collaboratori! Ho scelto di condividere il mio progetto con persone a vario titolo svantaggiate, per dimostrare soprattutto a me stessa che l’arte (o meglio la creatività) può aiutare le persone: quando lavori con la creatività lavori con l’anima e considerato che tutti (abili, diversamente abili) abbiamo un’anima, quest’ultima sarebbe stata la mia collaboratrice.

Quindi dici di collaborare con le anime di chi ha scelto di lavorare con te o che in qualche modo viene coinvolto nei tuoi progetti?

Sì,sicuramente mi relaziono o almeno cerco di relazionarmi con l’essenza delle persone a volte smontando maschere ed apparenze cercando di condividere con gli esseri la bellezza della vita.

E’ sempre possibile?

Io mi impegno perché lo sia. Purtroppo (o per fortuna) la vita terrena è fatta anche di altro e si vive di rettangoli colorati   e cerchietti di metallo ai quali hanno dato un valore, pertanto qualche volta devo essere “veloce” e “sintetizzare” per concretizzare le situazioni.

Stacco un tuo lavoro dalla parete e lo indosso: è importante per te che i passanti lo riconoscano come un oggetto d’arte?

Per gli artisti è importante comunicare, non è sempre importante che gli altri capiscano, ma certo è che quando spieghi le cose e il messaggio viene recepito è una grande soddisfazione.  Quindi rispondo di sì. E’ importante che lo riconoscano come oggetto d’arte perché lo è. E’ un’arte concettuale. Noi siamo fatti di concetti. Avere un’opera in casa, che puoi decidere di portare a passeggio con te…è come scegliere di andare a passeggio con il David di Donatello! Bello no?

Le parole realizzano la forma e la sostanza dell’opera: che procedimento usi per “scriverle”? Fai prima un disegno e poi segui il contorno “mettendoci sopra” le parole? E qual è il criterio con qui scegli questi “discorsi”?

Scelgo il soggetto e poi lo ridisegno con i pensieri di quel momento, dedicati alla persona (nel caso del ritratto) o a un sentimento, nel caso abbia il bisogno di dare forma a uno stato d’animo. E’ uno “sfogo” creativo, che permette di mantenere un equilibrio psico-fisico. Quindi quello che scrivo ha un senso. Spesso mi registro, escono dei pensieri interessanti. Poi li riascolto o li rileggo e mi ci rivedo. Sento me stessa in quell’opera. Ogni disegno infatti è pubblicato sul sito e chi vuole può leggere il testo del disegno. Comunicare è un’arte e quando si comprende di non essere chiari bisogna aggiustarsi un po’. Ho aggiunto questa cosa quando ho disegnato i miei genitori. Regalando l’opera a mia madre mi disse: «peccato che io non capisca molto, scrivi in piccolo!». E così è nata questa idea di aggiungere il testo on line. Non è detto che le persone lo leggano, ma almeno sono tranquilla!

La storia dell’arte ha avuto e ha mecenati grandi e piccoli, famosi e meno. Certamente uno dei punti di rifermento storici è Peggy Guggenheim: secondo te quanto è attuale il suo…”insegnamento”?

Che il suo insegnamento sia grande è un dato di fatto, ma che sia un principio attuabile non è proprio così. Ci sono un sacco di amanti dell’arte che comprano opere ma se ci pensi bene non sono poi così tanti. L’acquisto di un’opera dovrebbe essere un’abitudine più frequente. Sostituire gli acquisti di prodotti in serie con opere d’arte dovrebbe essere una buona prassi quotidiana. In un mondo di apparenza è ovvio che si preferisca il valore “imposto”. Mi piacerebbe che le persone capissero il valore degli artisti in quanto esseri eletti e portatori di un messaggio. Un po’ quello che fece Peggy Guggenheim con Jackson Pollock, chiedendogli di abbandonare il lavoro di carpentiere per dedicarsi all’arte. Peggy era un essere raro. Pensa che bello se qualcuno rinunciasse ai diamanti per investire sugli artisti.

Se l’arte deve essere condivisa da tutti, può esserci il rischio di un suo abbassamento qualitativo?

No. Condividere arte significa riconoscere gli artisti, le loro opere e farle conoscere mettendole a disposizione della collettività. Ovviamente, come per tutte le “cose”, c’è chi le comprende e chi no. Non tutti possono comprare una scultura, ma secondo me chi ne avesse la possibilità dovrebbe sostenere l’arte, acquistandola e facendola vedere a più persone possibile. Penso alla mostra museale di una collezione privata, che ho recentemente visitato a Bassano del Grappa. Penso a Peggy Guggenheim, ma anche a Tobia Ravà, artista che ha aperto la sua casa ad altri artisti e ai cittadini trasformandola in un luogo di incontro. Questo è condividere l’arte. Mi piacerebbe che l’arte e la bellezza fossero un’abitudine quotidiana, per questo quando faccio gli incontri nelle scuole cerco di parlare della bellezza e quindi dell’arte:  per condividere (con persone soprattutto giovani) il fatto che la bellezza è la nostra salvezza! Ovviamente non è pensabile che tutti diventino artisti. L’artista è un eletto, è un essere “diverso” che arriva da altre dimensioni, spesso è un’anima antica. Mi piacerebbe che tutti lo capissero, ma anche questo è un sogno. Eppure io vivo di sogni. Faccio dei sogni la mia realtà.

Dove finisce l’artigianato e dove inizia l’arte secondo te? O sono la stessa cosa chiamata con due nomi diversi?

Sono due cose diverse ma unite da un filo conduttore: l’arte. L’artigianato è arte applicata per diventare una creazione funzionale. Spesso è la sintesi di un pensiero artistico. Io per esempio non sono un’artigiana. Non so fare nessun mestiere. Io combino questo e quello per giocare e fare arte. Sono Dada, no?

Se potessi acquistare un’opera d’arte a chi andrebbe la tua preferenza? E se potessi rubarla?

Se potessi acquistare un’opera di De Chirico, Le muse inquietanti. Mentre ruberei Amore e Psiche di Canova, perché i due protagonisti sono due miei cari amici di una delle vite precedenti.

Un po’ artista un po’ mecenate mi dicevi.

Sì. Parto dal presupposto che l’obiettivo sarebbe quello di comprare un’opera per ogni artista che incontro e trasformare la mia casa in un museo ma…sarebbe troppo piccola. Allora per adesso ho un’altra idea. Quando vendo un’opera darte mi piacerebbe donare una parte del ricavato a fondazioni come la Guggenheim per progetti interessanti a favore dell’arte come la tua Kritika, sostenere progetti sociali, come quelli dellAssociazione il Pesco e dell’Istituto Gris di Mogliano Veneto. I soldi sono il mezzo che ci hanno dato anche per fare del bene e, da questo punto di vista, più ce n’è e meglio è!

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