Purtroppo Francesco Bonami mi ha preceduto, non solo a livello lavorativo ma anche editoriale: il suo penultimo libro si intitola come questa rubrica. Nel senso, questa rubrica ha lo stesso titolo di una recente fatica letteraria del suddetto. Pazienza, me ne farò una ragione.
Nell’arte è facile scrivere in critichese. All’inizio pensi di averla sfangata: che testo “denso”!
Poi ti accorgi che a leggerti sono in quattro e non hanno capito quel che hai detto. E forse, ri-leggendoti, neanche tu ti capisci.
L’idioma del critichese è una tara per quella specie protetta che sono i lettori.
Spetta ora a Ivan Quaroni, uno dei pochi che sanno scrivere e che si fanno leggere, rispondere al fuoco di fila delle domande kritike. E già che ci siete, andate a vedere la sua mostra.
In ogni caso, cittadine e cittadini, buona lettura.
Quando hai iniziato a occuparti d’arte?
Un po’ di anni fa, intorno al 2000. Prima per me l’arte era innanzitutto Storia dell’arte. Solo dopo ho capito che l’unico modo per occuparsi d’arte in maniera viva e dinamica è frequentarla da vicino, scrivendone o collezionandola.
Che tipo di approccio è il tuo al lavoro di un artista? Cosa valuti per capire se ti trovi davanti a un artista degno?
Vorrei poterti dire che esistono dei parametri per valutare la bontà di una ricerca artistica, ma ahimè, non è cosi. Personalmente gioca un ruolo decisivo l’intuito, la sensazione che mi procura la visione di un lavoro, il suo strascico mnemonico, perfino la personalità dell’artista. Non sai quanti artisti bravi fanno una brutta fine per ragioni di ordine caratteriale. L’opera è l’artista, l’artista è l’opera. L’assenza di uno dei due elementi è fatale.
In generale secondo te quanto “pesa” il giudizio di un critico sul lavoro di un artista?
Viviamo in un mondo in cui il giudizio altrui è sopravvalutato. In tutti i campi. Questo è il riflesso di una debolezza più profonda, di un’insicurezza degli individui. Naturalmente, mi interessa il parere delle persone che amo, ma questo non ha nulla a che vedere con le mie decisioni finali. Questa domanda non mi piace, perché suggerisce che il compito di un critico sia “giudicare”. La parola “giudizio” ha un che di sinistro e apocalittico che mi infastidisce. La mia valutazione, come critico, del lavoro di un’artista deve necessariamente produrre un effetto. Ma l’effetto deve essere potenziante. Detesto quelli che fanno di tutto per scoraggiare le ambizioni degli artisti. Per esempio, ho trovato terribile il libro di Bonami. Non solo non l’ho trovato utile, ma non mi ha divertito affatto, anzi ho trovato – inaspettatamente, considerando la statura del curatore – che tra le sue righe serpeggiasse un amaro senso di frustrazione.
Qual è il tuo rapporto (se hai un rapporto) con le gallerie d’arte?
Le gallerie d’arte, soprattutto quelle che scommettono sui giovani, sono di vitale importanza per l’intero Sistema dell’Arte. Purtroppo molte gallerie non amano il rischio e così preferiscono trattare autori più consolidati. D’altra parte, il mercato è per natura conservativo, perché attribuisce un valore solo a cose che hanno già un valore. In ogni caso, per tornare alla tua domanda, ho avuto rapporti buoni (molti) e rapporti meno buoni (pochi) con i galleristi. Il loro punto di vista è quello dell’imprenditore, che rischia il proprio denaro, quello del curatore è il punto di vista del conoscitore, del frequentatore assiduo, che rischia solo la propria reputazione.
Sei anche una “consigliori” per collezionisti? Secondo te il collezionista è più utile o meno utile, rispetto alla galleria, per la crescita di un artista?
No, non ho mai fatto consulenze professionali, come advisor intendo, se non a livello informale e confidenziale.
Tre-nomi-tre di artist* degn* secondo Ivan Quaroni
Sarebbe come chiedermi di scegliere tre dischi da portare sull’isola deserta. Ci sono decine di artisti che mi piacciono, se non centinaia, e la lista cresce ogni giorno di più. Quanto alla loro “degnità” non saprei che dire. Per me tutti gli artisti sono degni, anche quelli indegni e, che mi piacciano o meno, auguro loro ogni bene. Quelli che mi piacciono, per le più svariate ragioni, sono davvero troppi, sia tra i morti che tra i vivi.
Discorso economico a parte, ma l’arte, secondo te, è cosa nostra? E’ proprio proprio per tutti?
Come tutte le forme di conoscenza, l’arte ha un carattere esclusivo, elitario. Ma intendiamoci, l’arte è per tutti, ma proprio tutti coloro che vogliono conoscerla, ed esclude tutti quelli a cui dell’arte non importa nulla. L’arte è a disposizione di tutti, ma sono pochi, pochissimi, quelli che se ne interessano. Conoscere l’arte significa spendere parte del proprio tempo a studiare, visitare mostre, viaggiare, approfondire. In questo senso, l’arte è elitaria ed esoterica quanto una loggia massonica.
Qual è secondo te lo stato attuale dell’arte, almeno nella provincia italiana? Chi domina il campo? Quali sono gli scenari futuri?
Questa è una domanda difficile e per molti versi insidiosa perché dovrebbe spingermi a dichiarare che la mia visione delle cose, cioè quel che faccio io, le mie preferenze, possano avere un qualche rilievo nella cronaca attuale dell’arte. Se, invece, umilmente mi sottraggo a questa tentazione, faccio la figura di quello che non crede che quello che fa possa avere un futuro e diventare, domani, parte di una storia. Allora Emanuele, preferisco dire la verità, cioè che i ruoli di dominio e gli stati di minorità sono dannatamente transitori, oltre che illusori. Chi vince oggi? Chi vincerà domani? Che importanza ha? Se sapessimo con certezza chi domina e chi dominerà, che cosa mai potremmo farcene di questa informazione? Tu smetterai di fare il critico d’arte? Ti adeguerai alla tendenza dominante o la contrasterai? Queste non sono scelte reali, sono condizioni preparate da altri, da coloro che hanno interesse che tu veda le cose in un certo modo. La scelta la facciamo noi: mentre interpretiamo il mondo (anche quello dell’arte), noi lo creiamo. In questa partecipazione io non mi curo affatto di quello che accadrà. Seguo solo ciò che m’interessa per ragioni che non so nemmeno spiegare. Qualche volta è di moda, qualche volta no. Ti sembrerà egoistico, ma l’unico senso dell’arte per me è il modo in cui contribuisce alla mia evoluzione personale. Il resto è interessante fino a un certo punto.
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il critico non vuole essere capito; vuole far credere di essere un’esperto di una cosa che in realtà non capisce