CURATORS | CAMILLA BOEMIO

0 Posted by - August 13, 2017 - Curators

Purtroppo Francesco Bonami mi ha preceduto, non solo a livello lavorativo ma anche editoriale: il suo penultimo libro si intitola come questa rubrica. Nel senso, questa rubrica ha lo stesso titolo di una recente fatica letteraria del suddetto. Pazienza, me ne farò una ragione.
 
Questa volta tocca a Camilla Boemio parlare del suo lavoro.
 
 
Cara Camilla, quando hai iniziato a occuparti d’arte? E come?

Dopo la mia tesi di ricerca ero ad un bivio nel quale iniziavo a sperimentare, una sorta di eclisse nella quale il tempo diventava sempre più creativo ed il “rischio” era di intraprendere la strada d’artista. Ho iniziato scrivendo e collaborando all’università come consulente di progetti di ricerca, nei quali l’arte contemporanea ricopriva varie analisi tematiche. Anni dopo sono stata coinvolta in uno dei progetti Europei più strutturati_ per l’arte e la scienza, curando la sezione d’arte contemporanea dell’Iswa European Project, coordinato da UNIPVM. Le varie aree tematiche dedicate alla bio tech art, alla fisica (la fisica pura e l’astrologia), la nanotecnologia, la geologia, il cambiamento climatico, il rinnovamento cellulare, la cultura della scienza, la medicina, la collezioni scientifiche, la biodiversità e la conservazione_ venivano sviluppate realizzando delle mostre tematiche nelle quali gli artisti hanno anche realizzato dell’installazioni site-specific. Tra le mostre curate, in Europa, “After the Crash” al Museo Orto Botanico di Roma. Tra gli artisti presentati, per la prima volta in Italia, Trevor Paglen.

Poi un numero rilevante di viaggi, di incontri, di relazioni, dalle quali ho saputo ascoltare, scambiare idee ed immagazzinare. Una fase sempre aperta nella quale ci si mette alla prova, e si estende la proprie ricerche verso nuove progettualità.

Che tipo di approccio è il tuo al lavoro di un artista? Cosa valuti per capire se ti trovi davanti a un artista degno?

Ritengo di essere un’anticonformista nel contesto della più ampia comunità d’arte, mi piace essere in un stato di ricerca nel quale le visite agli studi degli artisti diventano un importante momento nel quale iniziare una conversazione ed un’analisi della pratica artistica.

Una pratica orientata verso il cambiamento, l’evolversi del linguaggio d’arte suscita una mia attenzione. Le tematiche socio-politiche sono tra i miei maggiori interessi; la negazione dell’autorità e dell’originalità affermata attraverso l’appropriazione e la rielaborazione di simboli, degli oggetti e delle immagini della cultura dell’arte contemporanea al fine di indagare le conseguenze del capitalismo nella nostra società trovano un terreno fertile nella mia ricerca curatoriale. La critica alle questioni socio-politiche come il concetto della violenza, di cui ho parlato in una mia recente intervista con il filosofo politico britannico Brad Evans, influenzano le mie progettualità. Come la crisi dei rifugiati e l’analisi di cosa stia accadendo in Africa (ho curato il primo Padiglione della Nigeria alla 15°La Biennale Architettura di Venezia) sono tematiche costantemente seguite.

Anche le opere che hanno chiaramente caratteristiche autobiografiche, riscontrano il mio interesse_ se queste ultime riescano ad ancorarsi in costellazioni socio-politiche e culturali storiche legandosi a storie immaginarie, creano una sorta di alchimia nella quale difficilmente ci si può distogliere. L’artista dovrebbe essere un narratore consumato, filtrando la società attraverso degli aneddoti personali.

E chi siamo, noi, per dire cosa deve fare e non fare un artista??????

Rispondevo alla tua domanda, elencandoti alcune ricerche e pratiche che riscontrano la mia attenzione. Ovviamente non ho nessuna pretesa e non sono quel genere di persona che stabilisce a priori categorie prestabilite nelle valutazioni. Tanto meno stabilire preconcetti nel sentenziare cosa deve fare e non fare un artista. Non ultima, l’arte pubblica ed il suo rapporto con il paesaggio e l’architettura, è indubbiamente una delle mie passioni.

Vedo che sei piuttosto orientata fuori dai confini patri. Secondo te qual è lo stato dell’arte in Italia per un curatore? Dobbiamo annoverare anche questa categoria nel gruppo dei “cervelli” italiani che preferiscono operare all’estero?

Uno stato altalenante di vittorie, di gloria e conflittualità si insidia ad una malsana disposizione degli enti pubblici nei confronti dell’arte contemporanea; basterebbe guardare le vicende ad intermittenza delle direzioni museali

Dobbiamo soprattutto annoverare questa categoria lavorativa, nel gruppo dei “cervelli” Italiani in fuga. Il numero dei curatori che lavora all’estero è notevole, potrei scrivere moltissimo a riguardo delle numerose figure talentuose che ricoprono sia ruoli nelle direzioni museali, nelle università, e gravitano come curatori indipendenti nei maggiori contesti internazionali d’arte contemporanea.

Le motivazioni sono le più diffuse; dal grande gap nei confronti della storia dell’arte che viene insegnata al liceo con un programma non aggiornato nel quale, l’ultimo anno, si conclude con gli Impressionisti. L’esigua conoscenza del Novecento, non crea i presupposti per una lettura snella e sensata dell’arte contemporanea. La cultura è sempre più appannaggio in Italia, di gruppi ristretti, perché l’Istituzioni sono sempre di più dirette da dei perfetti dilettanti. Per le Istituzioni, non mi rivolgo ai validi musei del circuito Amaci, ma all’enorme numero di: burocrati, assessori, consulenti comunali completamente sprovveduti in materia e causa di un impoverimento costante delle masse.

Hmm, non credo che le masse abbiano mai avuto il bisogno di essere educate a una visione del mondo che è sempre e irrimediabilmente parziale – e sbagliati, come tutti i massimi sistemi intellettuali…

Capisco sia assolutamente utopico pensare ad un grande seguito nei confronti dell’arte, ma cercare di proporre progetti che arrivino non solo agli addetti ai lavori, senza svilire i contenuti dovrebbe essere l’obiettivo dei curatori che lavorano con gli enti pubblici e le università. Ritengo assolutamente necessario attuare progettualità che siano di respiro più ampio. Non si può lavorare, e non si deve lavorare solo per i collezionisti. Per questo reputo ed attacco la “macchina pubblica” perché ha delle responsabilità maggiori. Se un gallerista vuole operare in un certo modo può farlo, le Istituzioni dovrebbero garantire nuovi metodologie nel proporre la cultura.

La configurazione del sistema dell’arte in Italia è poco proiettata verso la sfera privata; ci sono pochi collezionisti che possono essere chiamati tali, poche gallerie concentrate solo nelle stesse aree e pochi mecenati disposti ad aprire delle Fondazioni.

La “mentalità dell’impiegato” regna molto nel sistema dell’arte Italiano, militare in politica per accedere ai fondi pubblici e cercare di dominare una determinata area geografica escludendo l’accesso ai vari potenziali rivali sono “sgambetti” molto diffusi.

Infatti con i fondi pubblici vengono sempre sostenute prestazioni artistiche (soprattutto nel cinema) di un ben preciso colore politico

Parando di cinema, usciamo un poco dal binario. Mi sembra le produzioni di Berlusconi abbiano finanziato molti registi, tra i quali Benigni e Sorrentino. Che forse in Italia siano più importanti le relazioni di affari?

Ritornando all’arte contemporanea; gli “sbarramenti” non aiutano la crescita di un territorio, nella competizione leale c’è la crescita del settore.

Non per ultimo un fattore non irrilevante, ma bisogna fare finta che non esista: “la famiglia” e il ruolo che esercita nella società. Se negli Stati Uniti il tuo parterre di studi definirà la tua carriera, in Italia è alquanto marginale rispetto alle relazioni che la tua famiglia può sviluppare per garantirti un futuro adeguato. Un percorso ad ostacoli arretrato, nel quale diventa sempre più complesso raggiungere un buon livello di meritocrazia.

Infatti i ricchissimi eredi della ricchissima dinastia Getty si sono fatti il loro piccolo museo. l’arte contemporanea è classista da sempre e non può non esserlo (è come per le rivoluzioni, se non sei un capitalista come puoi sperare di giocare alla rivoluzione?)

Si dimentica un fattore i ricchi Americani_ almeno una parte, sono mecenati. Nella mentalità Protestante chi ha la possibilità di migliorare il tessuto sociale di una città, deve sostenere le attività culturali o provvedere alla filantropia. Aiutano realmente i disagiati, supportano l’arte contemporanea creando un indotto solido nel quale il museo diventa un faro ma anche un primo tassello di crescita per tutta la comunità artistica che si svilupperà intorno con nuove gallerie, e spazi non-profit.

E’ un dato di fatto che sia più facile all’estero realizzare progetti ambiziosi trovando molto spesso affinità immediate con il board delle Biennali, i musei, l’università che sono completamente orientate verso tematiche rilevanti ed un’apertura della conoscenza. La predisposizione nei confronti degli altri, ed il metodo di lavoro sono i parametri che rendono le collaborazioni fluide ed efficaci.

Chi sono normalmente i referenti nel tuo lavoro? Hai mai lavorato anche con aziende (sponsorizzazioni di eventi e/o mostre)?

I referenti del mio lavoro sono i canonici promotori dell’arte contemporanea: dalle Istituzioni, alla Comunità Europea, ai musei, le gallerie, le Fondazioni, le Biennali alle quali_ a volte, si cerca di allargare il raggio di azione includendo le aziende.

Indiscusso il mecenatismo e la filantropia stiano acquisendo un peso sempre più rilevante all’interno della società contemporanea. Prediligo collaborazioni che possano posizionarsi in un progetto in modo più rilevante e veloce, rispetto al settore pubblico nel quale le scelte sembrano essere sempre di più dettate da parametri confusi, e conflittuali a discapito di una visione nitida.

Anche in questo caso gli Stati Uniti ci insegnano l’importanza di definire le collaborazioni con collezionisti e con aziende etiche che siano in grado di fare crescere un museo, un Padiglione, o un progetto più ampio facendo confluire un dinamismo necessario per raggiungere gli obiettivi preposti.

L’abilità implica nel riuscire a dialogare con le varie priorità delle varie collaborazioni, mantenendo integro il progetto curatoriale ed il dialogo critico.

I progetti e i programmi che promuovono inedite collaborazioni aziendali devono stimolare la sperimentazione creativa e la comunicazione ed ampliare le opportunità di impegno pubblico con l’arte e il suo ruolo nella società contemporanea. In parte ho attuato questa strategia in varie occasioni, come per le mostre “Cities” (con Gabriele Basilico, Marco Zanta, Shaun Gladwell, Michael Wolf) e “Sensational Architetture” (con gli artisti Spencer Tunick e Mark Lewis) parte della preview e della Festa dell’Architettura di Roma, e per “Diminished Capacity” il debutto del Padiglione della Nigeria alla 15°La Biennale Architettura di Venezia, presentando l’architetto Ola-Dele Kuku che ha lavorato sui conflitti che caratterizzano la situazione culturale globale, riflettendo non sulle strutture fisiche che generano l’architettura, ma focalizzandosi sugli elementi sociali.

Che differenza c’è fra un critico e un curatore?

Il critico ha il dovere di mantenere alto il dibattito, di far emergere, nella sua analisi dell’opera di un artista, i riferimenti alla storia dell’arte, mettendo in evidenza quelli che sono gli elementi innovativi e quelli che, invece, lo legano alla tradizione più o meno recente. Occuparsi di teorie innovative, cogliere il nascere di movimenti, trattare i periodi delle varie fasi dell’arte e cogliere le pratiche artistiche in grado di essere innovative. Essere il più possibile imparziale, ed attivare il dibattito in una fase attuale di grave afasia della cultura.

La figura del curatore è una figura giovane, nella storia dell’arte. Nasce per valorizzare le collezioni dei musei, e nel tempo ha cambiato sempre di più la sua vocazione fino a diventare una sorta di icona negli anni Novanta e nei primi anni Duemila. Le finalità lavorative del curatore sono di valorizzare e di coadiuvare il lavoro dell’artista.

E’ indubbio siano stati Bourriaud e Obrist ad attuare la svolta relazionale della curatela, affiancati dal dirompente utilizzo mediatico attuato da Bonami. La realizzazione della mostra “Cities on Move” ha consacrato Hans Ulrich Obrist come protagonista globale del sistema dell’arte, ed il suo essere perennemente presente nel circuito ha enfatizzato ancora più la sua aura, contribuendo a fissarne la prassi della svolta della curatela. In questa fase di grandi cambiamenti l’Italia è rimasta indietro scegliendo nella figura del critico politicizzato il referente Istituzionale, perdendo colpi non essendo capace di entrare realmente nel mercato internazionale e di capirne le mutazioni in atto.

Hmmmm non credo. Beatrice, Sgarbi, Bonito Oliva, Montanari, Nannipieri non nascondono le loro idee politiche, alcuni di loro, come Sgarbi e Montanari, ovviamente le esternano per i rispettivi ruoli politici, ma non sono politicizzati. Politicizzati erano coloro che magnificavano l’arte del socialismo reale (o l’orrore architettonico del fascismo, anche se, sarà un mio limite, non mi sovviene nemmeno un nome di un critico d’arte difensore dell’architettura fascista)

Tralasciando i soliti nomi che hai citato, ogni provincia Italiana ha delle figure sconosciute fuori dal piccolo raggio d’azione, che operano attivamente in politica e per vezzo si occupano d’arte. Vengono finanziati dalle regioni, non apportano nessun contributo sostanziale alla crescita del settore e guadagnano molto di più di noti curatori e di bravi docenti universitari.

Molto spesso sono medici, ragionieri o tuttofare che si inventano iniziative o festival nei quali l’arte viene utilizzata in modo indecoroso.

Molto spesso i danni commessi da questi “avventurieri” senza scrupoli, privano ad altre progettualità di potere costruire delle dinamiche antitetiche.

Per capire invece l’evoluzione internazionale della curatela bisogna segnalare il ruolo cardine dato da Catherine David e da Okwui Enwezor direttore di documenta (rispettivamente nel 1997 e nel 2002), con loro il mondo delle mega-mostre annunciò uno spostamento verso il ripensamento dei limiti dell’internazionalismo euroamericano e la concessione di una maggiore sensibilità alle pratiche globali del Medio Oriente, dell’Europa dell’Est, del Sud e Est asiatico, dell’Africa e dell’America Latina. Un evoluzione che sta ridisegnando il presente, ed il futuro della curatela. Un evoluzione presente anche in documenta (14).

Okwui Enwezor, lo stesso che alla Biennale 2015, apogeo del governo di estrema sinistra in Italia (le scelte sono ministeriali come ben sai, fintanto che continuerà a esistere un ministero che si occupa di cultura), fece fare i reading del Capitale di Marx, aveva la strada libera grazie al presidente della biennale che non può non interfacciarsi con chi sta al governo (lo stesso Okwui Enwezor si fece poi immortalare sullo schiccosissimo Vogue come nel servizio fotografico di Feltrinelli mentre indossava la sua pelliccia di astrakan).

E te ne racconto un’altra: la Christov-Bakargiev che vuole a tutti i costi Toni Negri alla biennale di Istanbul. Che già Toni Negri quando scrive di suo è illeggibile e quando parla di arte è anche peggio. Eccoli, i fautori della de-territorializzazione oltre atlantica e oltre europea. e comunque: artisti né americani né europei (Leon Ferrari ed El Anatsui, ad esempio) fecero furore già alla Biennale 2007…

Indiscusso Okwui Enwezor e la Christov Bakargiev siano delle figure rilevanti nel panorama mondiale. La direzione di dOCUMENTA (13), da parte della Christov Bakargiev è considerata una delle più significative degli ultimi anni_ incentrò l’analisi della cultura come agente di ricostruzione, guarigione e dialogo.

Non trovo comunque il 2015 fosse l’apogeo di un Governo di sinistra. Non mi sembra proprio sia presente la sinistra in Italia, anzi si auspica un ritorno. Siamo in una fase di grande presenza della Democrazia Cristiana.

In generale secondo te quanto pesa il giudizio di un critico sul lavoro di un artista? E l’attività di un curatore?

Nella morfologia le relazioni dei vari ruoli del sistema dell’arte, tutti rientrano in una sfera vitale nella quale le relazioni sono funzionali le une alle altre. Non si vuole sovrastare, ma attuare un processo di crescita.

Dallo scambio dovrebbe crearsi un processo morfologico teso a prediligere una dialettica costruttiva. Essendo piuttosto narcotizzata la critica, ritengo venga scelta dagli artisti la figura del curatore; in quanto vista come portatore molecolare di una “costellazione” di prospettive lavorative. Anche se la “ridistribuzione del sensibile” di Rancière si adatterebbe perfettamente ad una condizione non statica e fortemente relazionale.

L’artista superstar Mark Bradford (Padiglione USA alla Biennale di Venezia) in una recente intervista mancava poco che dicesse che le gallerie non contano un cazzo, quando normalmente sono l’indispensabile anello di congiunzione fra artista e collezionista: qual è il tuo rapporto con le gallerie? E secondo te il collezionista è più utile o meno utile, rispetto alla galleria, per la crescita di un artista?

Sia il collezionista che il gallerista sono delle vere e proprie “funzioni vitali” di un corpo che non può esimersi dal relazionarsi, e crescere tramite il supporto di queste figure

Non dovrebbe esistere una competizione tra di loro, ma una vera coesione per il bene dell’artista.

Mark Bradford è uno straordinario artista. Condivido pienamente il suo pensiero (riportato anche in una recente intervista per Vogue) nel quale evidenzia sia presente un enorme pregiudizio a riguardo della classe sociale, tematica affrontata ancora meno della questione di razza. Un punto a me caro, già trattato in una mia precedente risposta.
Non conosco però il suo percorso così a fondo, da potere definire quali siano state le figure chiave per la sua carriera.

Ogni percorso artistico, o curatoriale ha delle prerogative; per quanto l’emulazione sia molto presente nel sistema d’arte, l’unicità della propria ricerca e delle relazioni cambia il quadro ed il proprio percorso.

Ho sempre avuto delle buone collaborazioni con le gallerie, mi piace trascorrere intere giornate visitando quartieri dove puoi trovare a Los Angeles quaranta e più gallerie; confrontandomi con i galleristi.

Mi sono anche occupata di strutturare il programma per gallerie giovani a Roma, intercettando il desiderio dei galleristi di focalizzare le mostre verso l’analisi della fotografia.

Ci sono gallerie in grado di essere quel “tipo di posto” che è diventato un hub per gli artisti e non solo nella capacità di essere un buon luogo dove esporre. Le gallerie, quelle che possono essere annoverate tali, sono accentratrici e luoghi di incontro, di scambio e di dibattito serrato. A volte in Italia sono molto più innovatrici di tanti musei stagnanti e non in grado di capire dove si stia orientando il settore.

Per non parlare di quelle che possono essere annoverate gallerie musei, per la struttura e la rilevante programmazione.

Durante le attività di molte gallerie di Los Angeles o di New York, hai la possibilità di incontrare e salutare un vasto numero di persone rilevanti nella scena artistica della città. Dandoti la reale possibilità di avere uno scambio, ed entrare facilmente nelle maglie del sistema.

Tre artisti da tener d’occhio

Non è semplice inserire solo tre nomi, perché la lista sarebbe più ampia ma ho scelto tre interessanti ed emergenti pratiche artistiche, molto diverse l’una dall’altra.

Louisa Gagliardi è una delle giovani pittrici più intriganti. Ha avuto un successo fulmineo alla mostra Post-Internet art_ curata da Hans Ulrich Obrist e Simon Castets, alla LUMA Foundation di Arles. I suoi lavori surreali sono realizzati utilizzando il digitale. Le illustrazioni e le opere d’arte sono visivamente e concettualmente stratificate, con prospettive dai toni polverosi capaci di creare un senso di deformata tridimensionalità.

La coreana Hyon Gyon attua una pratica e un metodo radicalmente spostati verso un approccio saturo di immagini più astratte e più intuitive. L’astrazione della pittura si fonda ai materiali come: perline, foglie d’oro, scaglie di ceramiche, piume, cera; concentrandosi sulla figura dello sciamano.

Spostandomi verso la fotografia; concludo con Nicolò Degiorgis uno dei fotografi più interessanti emersi nel panorama internazionale negli ultimi anni. “Hidden Islam” è la sua opera prima, con la quale ha vinto il premio della Fondazione Aperture a Paris Photo. Nel 2014 vince l’Author Book Award ai Rencontres d’Arles nella sezione giovani autori. Nel 2016 ha partecipato alla 16a Quadriennale d’arte, e alla mostra “Passo dopo passo” alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.

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