ARTICOLO PUBBLICATO SU IL GIORNALE OFF
Ha da poco aperto il suo nuovo mega studio in zona Navigli -due piani, con pareti mobili e zone dedicate: lavoro, esposizione, “living room” – e l’inaugurazione è coincisa con una performance durante la quale ha esposto al pubblico il lento processo di combustione di una sua scultura, che è andata incontro al suo inesorabile processo di disgregazione. “Il fuoco vive della morte della terra e l’aria vive della morte del fuoco”: questo aforisma eracliteo spiegherebbe alla perfezione la nuova serie di Francesco Diluca, Post Fata Resurgo: i riferimenti religiosi sembrano evidenti, ma si andrebbe lontani dal vero se si pensasse alla forma simbolica del memento mori o dell’evangelico polvere eri e polvere ritornerai.
“Alcuni [del pubblico, n.d.r.] vedevano la conferma del nostro morire ogni giorno, altri la fine, cioè l’opera “in fiamme” che, da un certo punto di vista, rappresenta la fine, la morte: brucio perché vado a morire. Ma perché? Non potrebbe essere che il bruciare è l’unico momento di vera vita cha ha quell’opera? All’inizio e alla fine quell’opera non vive: vive quando ha questo brulicare di fusioni nell’insieme. Ma questa è una delle interpretazioni possibili“.
Così Francesco Diluca a proposito di Post Fata Resurgo e delle sue diverse chiavi di lettura, che discendono dalle diverse prospettive culturali -laica, buddhista, giudaico/cristiana, millennial e chi più ne ha più ne metta- con cui viene vista. Ne parliamo con lui, in un’afosa mattina milanese di luglio, nel fresco del suo studio […]
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