Kritika onpaper # 4 – kunstArt12, Bozen, 16-18 | 03 | 2012
L’artista è figlio del suo tempo. Guai a lui se è anche il suo discepolo. O, peggio ancora, il suo favorito!
Scriveva così Friedrich Schiller nelle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo (1795). In questa maleodorante epoca contaminata dal consumo e putrefatta nella (infinita) rincorsa all’utile, un’ora di pausa con questo libro è una boccata d’ossigeno in una calda mattinata primaverile. Bisognerà educare l’uomo al sentimento della bellezza per rifondare in lui l’antico ideale greco della kalokagatia, l’unione del bello e del buono. L’unica via per farlo è comprendere che la sintesi armonica di sensibile (bello) e sovrasensibile (buono) ha come fondamento il “gioco”. Un’attività ineludibile e ineliminabile della nostra natura. Il gioco non persegue alcun fine esterno a se stesso. Non è ispirato da nessuno scopo. Men che meno dalla provocazione o dal denaro. E’ solo un libero atto in cui sensibilità e ragione convivono nell’azione ludica. Rendendoci liberi. Solo in questa superflua e libera unione di “forma e materia” si compie la bellezza.
L’uomo è completamente uomo solo quando gioca
Così Schiller attribuisce all’arte l’educazione d’una nuova umanità. Non aveva, non poteva aver fatto i conti con la maledizione del capitalismo. Una società dislessica che narcotizza il reale sotto il profilo del calcolo. Non esiste nessuna salvezza dalla ragione calcolante. Chiunque si contrapponga al calcolo può essere calcolato. Qualsiasi attività senza scopo viene trasformata in merce, tornando all’istante nell’orizzonte dell’utile. Con buona pace di Maurizio Cattelan che, fingendosi puro, ha scelto il periodo peggiore, direbbe il ministro Fornero, per autocandidarsi alla pensione. L’idea di creare uno stile è solo un’apologia dell’ansia. Tutto è sottoposto all’incalzante dominio del calcolo. Persino l’uscita dal palcoscenico va spettacolarizzata. Forse l’unica soluzione si compie nel rifiuto. Nella fuga dall’esternazione. Nel silenzio.
L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità (Theodor W. Adorno)
E’ probabile che in futuro qualcuno possa inventare delle pillole, da vendere nei mass-market, per diventare maestri di stile. Allora, clandestinamente, gli artisti si dedicheranno alle lavande gastriche. A che serve l’arte? A questo. Renderci liberi dalla domanda sulla sua necessità. Willem de Kooning un giorno disse a un amico che
alcuni artisti non badano alla sedia su cui sono seduti. Non importa neppure che sia comoda. Non vogliono proprio ‘sedersi in grande stile’. Sono troppo ansiosi di scoprire dove dovrebbero sedersi». E tu che fai -gli chiese l’amico- per cercare il luogo giusto? «Ah -rispose- so per certo che da qualche parte si nasconde un’idea strepitosa… Ma ogni volta che cerco di penetrarla mi sento afferrare da un senso di apatia. E mi viene voglia di mettermi a dormire
Paolo Manazza
Milano, 26 febbraio 2012
Paolo Manazza è pittore, giornalista e saggista. Ama il colore che sperimenta in omaggio – tra gli altri – a de Kooning, de Staël e Matisse.
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