VERSIONE INTEGRALE DELL’ARTICOLO PUBBLICATO SU IL GIORNALE OFF
Il nostro Heimat sepolto
Cercare la verità sotto la cenere. Sotto le macerie della nostra “casa”, il nostro Heimat, simbolicamente e intraducibilmente la nostra “piccola patria”, il luogo in cui ci sentiamo a posto. Il terrae motus che ha sbrecciato i muri del nostri Heimat è l’annichilimento del nostro senso di appartenenza, ovverossia il (possibile) tramonto dell’Occidente, per dirla con Spengler.
Tre e non più tre
Sentiamo i tempi sulle spalle: l’arte, anche nella sua efferatezza, talvolta rappresenta uno stato di cose meglio delle parole
Così Sergio Padovani. Chiusa la trilogia con la personale bassanese HEIMAT, terzo capitolo dopo LA PESTE e MORTE DELLE MUSE, il ricercatissimo artista modenese si accinge a ripartire con un nuovo percorso pittorico e concettuale, di cui l’ultima serie VOARCHADUMIA è stato l’antipasto, cui entro breve alla Fiera di Vicenza seguiranno i primi, i secondi e il dessert (grande novità di cui non vi anticipiamo nulla) e in autunno a Imola una mostra “laicamente devota”, con quindici inediti ritratti di santi à la’ Padovani
Ermetici e rosacruciani
Innanzitutto il dizionario: Voarchadumia denota un testo alchemico del Cinquecento (per l’esattezza: Voarchadumia, ars distincta ab Archimia et Sophia), ma anche una società supersegretissima di cui si mormora abbia fatto parte anche il Giorgione.
Ora et labora
Ora, Sergio Padovani non sarà iniziato a società occulte, eppure per il suo modo di lavorare è anche lui un ricercatore: più che della pietra filosofale, della verità della tradizione -che poi, mutatis mutandis, forse è la stessa cosa.
Steampunk, no grazie
Bitume, resine, impasti vari: i suoi quadri di guardano al passato, ma i riferimenti sono declinati al presente, a quell’ossimoro spaziotemporale che Guillaume Faye chiama archeofuturismo e che Padovani definisce il nostro medioevo digitale, dove l’umana condotta sobilla la verità.
Modernità e tradizione
Ma come ci si rapporta, noi moderni, con la tradizione (almeno in pittura, ‘chè di questo si va parlando qui)? Sicuramente non a livello citazionistico (non avrebbe senso riproporre una replica più vera del vero dei coniugi Arnolfini, sarebbe puro virtuosismo e di Paganini n’è esistito solo uno), ma filtrare l’antico attraverso i tempi contemporanei, questa sì è un’operazione esteticamente sensata: fare tesoro degli insegnamenti tecnici degli Antichi è la condotta valida dell’artista del ventunesimo secolo.
L’impatto diretto sulla tela, senza infingimenti
Di suo, Padovani affronta in modo contemporaneo una pittura derivante dal Quattro e Cinquecento, cioè: niente soluzioni pre-quadro (leggi: zero disegni preparatori) e interazione subitanea e diretta con la tela.
Aprire il libro di storia contemporanea e trovare una pagina bianca
E allora non resta che “contemporaneizzare” la tradizione (con la “t” minuscola, c’entrano niente Evola e Guenon), nella fattispecie la pittura, appunto, del Quattro e Cinquecento – van der Goes, Petrus Christus, Bruegel i famosi Antichi- alla luce di questa tela bianca che rappresenta la nullità del mondo moderno.
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