CLAUDIO MAGRASSI | MORPHOS

0 Posted by - May 29, 2015 - Approfondimenti

Una “doppia” recensione per il pictor optimus Claudio Magrassi, la cui personale è attualmente in mostra a Piacenza: l’una di Ornella Dallavalle (di cui avete già letto qualcosa QUI), l’altra della new entry Luca Sartini.

Buon(e) lettur(e)

Emanuele Beluffi
 
 
L’atto del dipingere può essere considerato una forma di preghiera, di ricerca dell’assoluto? Secondo Claudio Magrassi la ricerca pittorica è metafisica, va oltre i confini del corpo per raggiungere quelli dell’anima. I suoi personaggi sono toccati profondamente dal dolore e la loro sofferenza è visibile, tangibile: i tatuaggi sono cicatrici, i volti si deformano, gli organi si spostano e sono trafitti.

Le opere di Claudio Magrassi sono eterogenee, ma hanno come centro la ricerca di un senso, di un significato dell’esistenza, che non viene solo dall’alto, ma anche dal desiderio di rivincita e dalla lotta quotidiana. Che ben viene simboleggiata dalle grandi mani che ricordano, un po’ come nelle opere di Van Gogh, la fatica, lo sforzo personale per sopravvivere, ma anche per elevarsi.

I suoi protagonisti diventano guerrieri o sentinelle, per difendere se stessi e gli altri. Non c’è cattiveria nel loro sguardo, neanche quando impugnano un rasoio, ma bisogno di significato, di appartenenza, di protezione.
La tecnica pittorica di Claudio Magrassi è sofisticata e precisa al punto che alcuni giochi di luce e di ombre ricordano quelli di Rembrandt. La sua sfida sembra proprio quella di rimanere ancorato al passato ma raccontando una storia moderna.

Ornella Dallavalle

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Claudio Magrassi – Silentium-2013 olio su tela 80×140

 

La vita di oggi che simboli ha? Gli stessi simboli di ieri o dei nuovi e sorprendenti? E come si sfama l’occhio dello spettatore e il suo bisogno di scambio estetico-culturale nella passività della visione?

Luca Sartini

Dall’iconografia medioevale in avanti, dopo la visione tecnica, formale, allegorica, materica dell’artista, ogni fortunato fruitore (perché l’Arte non era accessibile a tutti e il concetto di Museo era ancora là da venire) vi cercava attentamente la via dello spirito e vi leggeva con timore e partecipazione, l’Idea simbolica che attraverso piante, fiori, animali, colori, gestazioni, raffronti, opere in sequenza, vi era rappresentata. Nel Simbolo, il Tutto. Nel contenitore, l’ambrosia.

L’Arte così doveva coniugare l’estetica con l’etica, doveva cioè dare un Senso ultimo a chi la guardava. Una religione di fedeli occhieggianti, attentissimi alla preghiera del colore e della sfumatura che non poteva lasciare indifferente lo spettatore-spesso committente, dovendo farsi carne, psiche, amore, slancio, putrefazione, orgasmo, delirio, paura e coraggio insieme, perché fortemente dionisiaca e quindi critica, scomposta, da far risorgere, pennellata dopo pennellata.

Quasi che la spiegazione del mistero della Vita e della Morte fosse a portata di mano e di occhio a Emmaus, sulla strada di Damasco, a Canaa, durante la peste, nelle Corti dei potenti o nelle stanze d’Ospedale degli agonizzanti.

La solita guerra del Mondo con i suoi girotondi, paradisiaci e infernali…Il “Noli me tangere” sublimato dal potere fisico dell’Arte, perché non si può essere increduli o passivi davanti alla Bellezza e alla trasfigurazione del vero. La nudità del parto e della tumulazione, l’ultimo sorriso delle Parche, l’accettazione della personale via crucis dell’esistere. Arte in un certo qual modo etica, perché teatrino di valori, più o meno condivisi e sottolineati. Quasi che la vita disperdesse le energie vitali e che l’Arte avesse il compito di raccoglierle in una pennellata di Assoluto.

Arte che non conta le pecorelle per addormentare le coscienze ma vivifica ogni passo e solitudine interiore, chiedendo un riscatto in termini di anni vissuti totalmente.

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Claudio Magrassi – Verge 2015 olio su tela 120×190

Claudio Magrassi, Uomo ferito e in rivolta, trova l’identità più piena, scegliendo l’altra via tra il sogno e la realtà, tra la mente e il cuore. Nella sua ribellione c’è la Terra, la solitudine di ogni famiglia, le radici psicologiche, gli specchi e le finestre che si aprono difficilmente, l’estasi, l’attesa e il tormento.

Claudio Magrassi, pittore tortonese moderno che ha il compito, quasi il dovere, di scoprire con la sua pittura i fantasmi del Cielo e dell’anima, continuatore della luce e del lavorio simbolico del Ceranino, delle nature morte di Francisco Zurbaran e di Luis Melendéz, compagno delle pitture nere di Goya o del segno asciutto del Durer. Perché si è abbeverato alla sorgente di questi avi lontani. Perché non ha ucciso dentro di sé il canto delle Muse. Perché ha bisogno di curare la malattia dell’indifferenza generale e dei luoghi comuni con l’Immagine delle immagini, l’immagine dell’apocalisse rivelata. Perché è un pittore che sogna a occhi aperti e interpreta gli incubi del risveglio quotidiano.

Con la stessa intensità-follia di Füssli, sbattendoci dentro l’amore per la Vita e per il futuro di un’umanità dolente e arcaica, quasi primitiva nel cercare cibo, riparo, aiuto, abbraccio, conforto, amplesso, casa-heimat, spazi per vivere la solitudine e il Sacro, ostinata nello sfuggire alla morte. Qui il cervo volante del Durer e le mosche della Vanitas non si posano o i cetrioli di Meléndez non si mettono in mostra, perché il peccato è nello stare zitti, nel negare la fascinazione dell’istante infinito e l’esempio della visione che trapassa ogni prudenza diventando profetica. Goya non si spaventava dei suoi sensi nella Quinta del Sordo: si faceva accompagnare dalle sue 14 pitture(Las Pinturas Negras) come da un amico fedele. Erano la forma del senso profondo dell’esistenza e dell’essere, erano i dubbi e le pause che lo fortificavano e che lo facevano sentire inerme, fragile, tuffato nella pece di una vita vissuta e da finire. Che si faceva da sé i suoi conti, anche esoterici.

Las Pinturas Blancas e Negras di Claudio di questi anni difficili…Così facciamo il parallelismo con le opere di Magrassi.

Nel Silentium (2013) il pane è diviso come l’istinto di sopravvivenza, sono le vene, le mani che danzano dei due incappucciati, black block di loro stessi, a fare il mudra del potere. Si aspetta il Rumore che spezzi il silenzio o il Silenzio che trovi finalmente dignità. La Luce non è chiusa, claustrofobica, è solo apparecchiata, quasi la si dovesse mangiare a ondate di comprensione. La fisicità delle vene gonfie delle braccia e delle mani, esibite, cariche di sangue, in pieno scorrere, medita sul nascondimento e sul perdono. Che non verrà.

Nella Corrosione (2007) il volto della figura si ricompone sulla richiesta degli occhi di tartaruga(allo stesso modo della maschera funebre di Micene)perché il puzzle della corrosione temporale lo ha reso in quest’istante invulnerabile allo stress della vita. Testa scollata dal corpo, un Volto Santo laico. Occhi che finalmente sanno. E attendono di vedere la luce amica.

In Verge (2015) il Guardiano taglia ciò che è da lasciare, perché la Vita non ha bisogno di zavorre e di tentennamenti, breve come i fiori recisi e la purezza invecchia anche le spose(il fiore delle calle). La lussuria dei piaceri terreni, questo fiore era invidiato da Afrodite, è un orgasmo senza ritorno, perché bisogna pensare anche alla forza-purezza dello spirito e non si può perdere troppo tempo dietro al fanatismo dei corpi nudi. La presenza del divino è nelle ombre schiacciate dall’aspirazione all’elevarsi dalla condizione di dubbio.

In Hipnos (2014) la farfalla della psiche brucia come la sigaretta accesa nell’attesa della resurrezione, l’anima è appoggiata fuori, sulla testa, quasi fosse un riflesso o una decorazione che si stacca da uno sfondo marcato, a bandiera, da vessillo onirico medievale. Possiamo stare certi che l’anima non la si ruba come un gioiello o la si firma come un assegno a vuoto. E le Stelle non stanno a guardare…

In Morphos (2014) la paura è palpabile, il cuore scoperto, la testa del mostro-fascio di muscoli
girata verso i fiori, forse orchidee, che bilanciano insieme alle braccia, quasi che nel sonno la Giustizia fosse nel completo lasciarsi andare all’amore e nel proteggere con tre spine virili il cuore dall’errore possibile della scelta finale. Chi ama è divinamente folle.

In Ashes (2014 )opera che amo particolarmente, le gambe sono trattenute o carezzate dalle mani, perché inutili a fare il Salto. La maglia scopre una parte del petto e del collo a forma di foglia o di cuore. Il Soggetto è nella stanza del Minotauro, nel labirinto dei rimorsi e delle occasioni. E la testa abbassata ha negli occhi nascosti il cielo della fine e delle sue ceneri. Stanza, loculo, asilo o spazio vitale unico. Tende che sanno di sipario, di sudario e di cordone ombelicale.

In Sebastian (2013) non c’è che il martirio di chi deve muoversi nonostante tutto. Perché le frecce non sono né uncini, né amuleti, sono parole non dette, da quando si i è soffocato l’istinto, perché l’Eros è complesso, perché la vita ci tatua continuamente dentro e il fiore che si mostra, staccato e quasi surreale nella sua iper-realtà, non è che la continuazione del ciclo karmico delle esistenze, che alla fine si assomigliano e sovrappongono tutte. Educazione sentimentale al martirio della settimana… L’uomo-donna, la donna-uomo, vengono accusati di aver avuto troppa fede nella modernità o di non averne avuta affatto nel credere che tutto finisse nella propria solitaria egoicità. E così vengono puniti quasi fossero avanzi di cibo.

E per finire questi otto sguardi, l’Ourobonos (2013) quasi l’Uroboro di noi altri, al posto di mordersi la coda, qui il Protagonista si strappa la carne della faccia, si sdenta cercando di curarsi, perché lo specchio-serpente, rimanda l’immagine della caduta che non può essere facilmente cambiata, attutita, trasformata, rinnovata. La materia sa da sempre, invecchia e agisce e si sente smarrita quando non c’è un pensiero forte o una via in avanti spirituale.

Le spalle e l’ombra ci guardano con il buio della sapienza e del non detto: i misteri sono sotto gli occhi di tutti ma non si possono spiegare. Anche la fede non li spiega, li dilata e li abbraccia senza rassegnazione. Otto pitture ad olio e incamottate (alcune) per ricordarci la tecne antica, la Simbologia dell’Arte, l’estensione magica della Luce e la disgrazia di chi non vuole pagare pegno per progredire nella coscienza e conoscenza: il Fuoco del mistero non si esaurirà mai come il cibo dell’Arte per menti elette e per pittori senza Tempo.
 
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