Claudio De Albertis: “Milano dovrà essere la città della contemporaneità”

0 Posted by - May 24, 2016 - Interviste, Kritika segnala

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Articolo pubblicato su ilGiornaleOFF

Claudio De Albertis è il presidente della Fondazione La Triennale di Milano, uno dei poli culturali più importanti della città. E una rubrica chiamata “Io corro per la cultura” non poteva non scambiare quattro chiacchiere con lui.
Presidente, fra meno di un mese Milano avrà un nuovo sindaco: che tipo di progetto culturale si aspetta dal prossimo inquilino di Palazzo Marino?

Innanzitutto mi auguro che il nuovo sindaco pensi a Milano come a una città della contemporaneità. In questo Paese si è cominciata a riaffermare una cultura della contemporaneità e io credo che Milano ne sia l’emblema. Penso quindi che il prossimo sindaco debba dare stimolo alla cultura della contemporaneità, in tutte le sue forme: architettura, performance, moda, design. Dovrà essere anche un coordinatore, un regista, un sostenitore delle iniziative culturali che nascono spontaneamente in tutti i luoghi della cultura, da quello più noto come quello che io oggi presiedo fino a quelli più minuti, che stanno emergendo, con l’obiettivo di creare una vera e propria narrazione. E’ chiaro che oggi piaccia molto l’idea della rete (anche secondo me molti musei devono mettersi in rete), però credo che la questione importante sia la creazione di una vera e propria narrazione, che possa trovare la giusta attenzione da parte dei cosiddetti addetti ai lavori e della popolazione. In questa logica credo quindi che il ruolo del Comune sia quello di non dare talvolta in appalto a qualcuno una gestione di un museo, come ad esempio ha fatto con il Mudec, ma magari di pensare alla creazione di fondazioni, unendo Mudec, Palazzo Reale, Museo del Novecento in una fondazione, dove il Comune è uno dei partner, in cui possano aspirare ad entrare i privati, in modo da smobilitare più forze possibili.

Se fai la mostra degli Impressionisti a Palazzo Reale ti danno di nazionalpopolare, poi si lamentano se alle mostre nelle gallerie private non ci va nessuno. Di vero c’è che la cultura (e in modo particolare l’arte contemporanea e la moda) conserva un carattere elitario, una conservazione che spesso è voluta: tolti gli opening, sembra il deserto dei tartari. Eppure Milano, soprattutto le gallerie private di arte contemporanea, offre uno spettacolo effervescente: secondo Lei, cosa potrebbe fare la politica per “democratizzare” la cultura e far sì che i cittadini non s’accontentassero di vederla alla tivvù senza neanche cercarla?

E’ vero, a  una mostra del Caravaggio ci sono file continue, mentre la cultura contemporanea ha un accesso molto più limitato. Da questo punto di vista credo che prima ancora della politica ci sia un ruolo doveroso, da parte di tutte le istituzioni, private e pubbliche, che si occupano di cultura, di rendere la “messa in scena” del contemporaneo più divulgativa e più aperta a tutti. Forse i primi a vederla come momento elitario sono proprio le stesse istituzioni e i privati ed è quindi da lì che deve nascere questa “democratizzazione”: è un problema culturale ed è un problema di formazione. La politica può fare la sua parte nella stessa direzione: un po’ di cambiamento c’è stato ultimamente, pensiamo solo all’architettura. Fino a poco tempo fa si decantavano realizzazioni come il grattacielo Pirelli e ci si fermava lì. Mi sembra che oggi la situazione sia invece molto cambiata: si decantano l’intervento di Porta Nuova e altri interventi. Bisogna quindi che la politica faccia capire che  le città da sempre si ricostruiscono su se stesse e che ogni generazione è stata molto orgogliosa di lasciare il segno. Se invece abbiamo paura di lasciare dei segni, o se questi segni lasciano solo gli effetti contingenti e non quelli di lungo periodo, sviluppiamo fin da subito un atteggiamento vecchio (al di là del fatto anagrafico) e conservatore. Bisogna guardare la questa cultura con un occhio molto aperto, molto innovatore: su questo la politica può fare la sua. Chiaro, se diamo lo spazio a quelli che sono aprioristicamente contrari a tutto, la città non cresce, però mi sembra che da questo punto di vista la città sia molto cambiata in questi ultimi anni.

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