C’È SEMPRE UN CALZINO SPAIATO NEL MIO BUCATO. CONSIDERAZIONI SULL’INSODDISFAZIONE

0 Posted by - April 28, 2010 - Approfondimenti

Kritika onpaper # 2 – Milano – 04 | 03 | 2010

Il cane e il flacone…

Cane mio bello, mio buon cagnolino, caro bobi, vieni vicino ad annusare un profumo eccellente comprato dal miglior profumiere della città.” Il cane, dimenando la coda, che è il segno, credo, che corrisponde in questi poveri esseri al riso e al sorriso, si avvicina e posa il suo naso umido e curioso al flacone stappato: poi, arretrando improvvisamente atterrito, abbaia contro di me, come se mi rimproverasse. “Ah! Miserabile cane, se ti avessi offerto un mucchio di merda, l’avresti annusata deliziato, e l’avresti fors’anche divorata. Così dunque, anche tu, indegno compagno della mia triste vita, assomigli al pubblico, a cui non si può mai offrire dei profumi delicati che lo esasperano, ma solo lordure accurata mente scelte (Charles Baudelaire, Lo Spleen di Parigi. Piccoli poemi in prosa)

Un po’ di sano qualunquismo critico dalla venerabile penna di Baudelaire.
Me lo immagino nella sua foto più famosa, con quella faccia un po’ scavata, il fiocco al collo e lo sguardo da loser che ha dettato moda nell’underground intellettuale, letterario e pure musicale, dagli anni Novanta a oggi. Ecco l’incompreso. Certo che se un bohemien come lui si faceva abitualmente accompagnare al Louvre da “intrattenitrici” come Louise Villedieu, altro che perle ai porci!

Durante uno dei suoi piacevoli corsi universitari, Ambrogio Borsani dell’Università degli Studi di Milano ci parlò delle “perle ai porci”, all’incirca in questo modo: effetto inevitabile della capillare borghesizzazione culturale ottocentesca, appropriazione indebita ma inevitabile di tematiche alte (e altre), di origine propriamente aristocratica da parte dei nuovi ricchi. Assistiamo a una conseguente e democraticissima diffusione di uno spirito d’emulazione popolare dei raffinati interessi appartenuti al ceto nobiliare, lento adattamento culturale alle masse stolte ma “promettenti”, fino a giungere oggi a patetici musical orgogliosamente patrocinati dagli enti pubblici e Natale a Beverly Hills considerato film d’essai (con immediato smarcamento del ministro). Altro che spleen decadente!

Quando la presa di parola è un diritto universale capita di trovarsi in queste situazioni. Senza allontanarci dall’aula K01 con Borsani in cattedra, ricordo la lezione sulla pubblicità intelligente e ben fatta, con il veemente intervento di una collega studentessa che teneva a puntualizzare come “la pubblicità fa schifo comunque, perché manipola le menti di tutti noi, schiavi passivi del sistema capitalistico”. La nostalgica sessantottina si risiede. Conseguente e inevitabile silenzio in aula. Il docente replica “Ha ragione, ma sa, questo è un corso sulla teoria e la tecnica della comunicazione pubblicitaria, quindi di questo parliamo…”. Aveva sbagliato aula? La ragazza il contenuto lo aveva anche, ma usato a sproposito. Un contenuto che sembra originale e sovversivo ma che rientra inevitabilmente in quel vociare fastidioso che si moltiplica a dismisura facente parte di quella che Salvatore Natoli definisce il tempo della chiacchiera.

Ripensando a quell’uomo universale  che era Goethe (come lo definiva George Eliot) viene la malinconia. Lo spleen di Baudelaire, appunto. Un vero vantaggio sociale, e proporzionale impoverimento culturale, è stata la specializzazione che si addentra sempre di più nelle discipline, rendendo quelle ancelle sempre meno necessarie nella formazione individuale. Non sono funzionali, quindi vengono tagliate fuori. Anche perché ormai, proprio grazie alla civiltà dello sproloquio, non sappiamo più a chi concedere la nostra preziosa attenzione, bombardata da input improvvisi come pop up pubblicitari.

Ci arrabbiamo perché non incuriosiamo il pubblico se cerchiamo di scrivere d’arte o di cultura alzando così il tiro, ci arrabbiamo perché i canali d’informazione sono saturi di pensieri e parole con un’alta percentuale di stronzate (e noi avremmo potuto fare di meglio, of course). A questo punto osserverei un minuto di silenzio.

Nila Shabnam Bonetti è critico d’arte e presidente di Laboratorio Alchemico. Nasce a Milano nel 1980 da padre italiano e madre iraniana. Si laurea nel dicembre 2007 in Conservazione dei Beni Culturali, Università degli Studi di Milano, con tesi sull’organizzazione di una mostra documentaria. Ha collaborato, curato e organizzato diverse mostre e scritto per Artribune, KritikaOnline, Lobodilattice, Equipèco e Arsprima.

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