Avrete già avuto modo di leggere qualcosa di Camillo Langone su queste pagine: una delle mie primissime interviste la feci proprio a lui, ormai sei anni fa.
Camillo Langone, giornalista e scrittore, esperto di rubriche enogastronomiche, religiose (sua l’invenzione della critica liturgica) e letterarie, è anche piuttosto ferrato in arte contemporanea.
La sua ultima fatica si intitola Eccellenti pittori, una piccola antologia della giovane e meno giovane (assegnando all’aggettivo “giovane” un senso pro-positivo) pittura contemporanea, pratica artistica di cui ogni tanto si canta l’epitaffio, salvo poi riscoprirne puntualmente le condizioni vive e vegete: colpa di Hegel, che nel diciannovesimo secolo iniziò a fare il beccamorto con la fine dell’arte.
Sarà una mia impressione, ma nel corso di questi ultimi due/tre anni anche le pubblicazioni non specializzate e i giornali nazionali accarezzano l’arte contemporanea sempre più spesso, il che a mio giudizio sottolinea ancora una volta il suo carattere paradossale: l’arte è una “cosa” descritta come se fosse per tutti.
Per quanto mi riguarda, sono invece pienamente d’accordo con Jean Clair, che paragona il sistema dell’arte a una partita di cui solo i giocatori conoscono, fanno e disfanno le regole, mentre il pubblico sta a guardare senza capire un granché.
Lo dovreste sapere tutti, una mostra è (anche) un sistema economico. Ho allora chiesto lumi a Camillo Langone sul ruolo della triangolazione galleria-critico-collezionista rispetto al lavoro dell’artista: posto che uno su mille ce la fa davvero, cosa gli serve, all’artista, per fare il grande balzo in avanti? Una buona galleria, un buon critico, un buon collezionista o tutti e tre assieme?
Pietro Nenni diceva politique d’abord!, la politica innanzitutto. Chiaramente qui uso il termine “politica” in senso lato: sappiamo tutti, ma proprio tutti, che alleanze, partecipazioni pilotate, tiri incrociati, convergenze parallele sono attività intrinseche al sistema dell’arte, almeno ai livelli elevati ed elevatissimi di menti raffinatissime.
E quindi, come per la politica, anche il sistema dell’arte è in realtà un dispositivo “altro” e “superiore” rispetto al ruolo del citoyen, del cittadino.
E solo apparentemente, solo per una recita a soggetto, solo per un gioco in cui i ruoli sono già definiti, l’arte contemporanea épater le bourgeois, scandalizza il borghese.
Miuccia Prada, compagna di lotta e di governo nella gauche caviar (“sinistra al caviale”) milanese, ha aperto una Fondazione, realizzata dall’archistar Rem Koolhaas (il bar invece l’ha progettato il regista Wes Anderson), facendosi deviare il percorso della linea dell’autobus (come se io mi asfaltassi una strada dietro allo studio sui Navigli per entrarci in macchina quando cazzo mi pare). Credo che alla casalinga di Voghera non gliene possa fregare di meno di Robert Gober, Thomas Demand, Germano Celant e delle“opere d’arte che dialogano con lo spazio” (provate a googlare la suddetta frase e scoprirete un mantra per tutte le occasioni).
Ma, allora (e questo il senso della domanda posta a Camillo Langone) l’arte contemporanea è cosa di tutti o cosa loro? Qual è, veramente, il ruolo dei fruitori nell’arte contemporanea?
Mia opinione: non è come guardare un film, una partita di scherma o il lancio di un satellite in orbita. Credo che il rapporto pubblico/arte contemporanea sia simile al rapporto lettori/quotidiani, o al rapporto cittadini/parlamentari.
Siamo veramente sicuri, per citare Francesco Bonami curatore della Biennale 2003 con titolo La dittatura dello spettatore, che il pubblico possa esercitare un tale potere in arte? O non saranno piuttosto vere le parole di Bertolt Brecht, per cui “Se votare servisse a qualcosa, non ce lo farebbero fare”?
Domanda che, di conseguenza, si porta appresso l’altra, sul senso e l’utilità della critica. E, di conseguenza, visto il rapporto fisso e sussistente galleria/critico/collezionista, sul senso e l’utilità degli operatori di settore, che si occupano di un bene che è sempre stato effimero e solo raramente è utile (investimento finanziario, arricchimento culturale, benessere psicofisico, quel che vi pare).
Del resto, sull’utilità e il danno dell’arte per la vita, mi soffermai già tre anni fa e gli interessati possono leggere le riflessioni che Roberto Milani affidò a Kritika.
Cittadine e cittadini, Camillo Langone
Quando hai iniziato a occuparti d’arte?
Non ricordo bene, la cosa deve proprio perdersi nella notte dei tempi. Ricordo come in un sogno di essere andato a trovare, animato da chissà quali brame, Pietro Cascella, Massimo Rao, Ivo Scaringi, oggi purtroppo defunti, e poi Gianni Dessì e Luigi Mainolfi, grazie a Dio ancora viventi.
Che tipo di approccio è il tuo al lavoro di un artista? Cosa valuti per capire se ti trovi davanti a un artista degno?
Mi attengo ai criteri dei maestri. Il criterio dei criteri è la riconoscibilità, la peculiarità stilistica, e qui sfrutto addirittura Baudelaire (“Creare una maniera: il genio sta in ciò”) e Wilde (“Non v’è arte là dove non v’è stile”).
In generale secondo te quanto “pesa” il giudizio di un critico sul lavoro di un artista?
Credo pesi poco ma non sono informatissimo, non seguo i critici d’arte, ammesso esistano ancora, e preferisco concentrarmi sugli artisti anzi sulle loro opere.
Qual è il tuo rapporto (se hai un rapporto) con le gallerie d’arte?
Non ho rapporti con le gallerie. Anche perché i galleristi sono spesso brutte persone (non che i pittori siano spesso belle persone…). Sono amico di Antonio Colombo che è uno dei miei maestri di eleganza prima che di arte: lo conosco da tempo immemorabile, da quando ancora non aveva una galleria e faceva l’industriale metallurgico.
Io ho grande stima degli industriali metallurgici e degli industriali in genere: se in Italia ci fossero più industriali e meno ambientalisti le cose andrebbero meglio sia per l’arte che per l’Italia
Sei anche un “consigliori” per collezionisti? Secondo te il collezionista è più utile o meno utile, rispetto alla galleria, per la crescita di un artista?
Sì, mi chiedono consigli. A chi chiede consigli scopo investimento consiglio di rivolgersi altrove: non ho la stoffa del truffatore. A chi chiede consigli scopo arricchimento estetico e spirituale consiglio i nomi più adatti al gusto e alla disponibilità economica di chi pone la domanda. Spesso esorto al ritratto o comunque alla commissione, per godere di un legame più intimo con l’opera posseduta. E perché i collezionisti dovrebbero essere co-protagonisti, co-piloti dell’arte, non persone ovinamente passive mandate al Macello della Moda. Se il collezionista è utile rispetto alla crescita di un artista? La parola “crescita” piace molto ai politici, quindi non ha valore artistico.
Tre-nomi-tre di eccellentissimi pittori secondo Camillo Langone.
Giovanni Gasparro, Ester Grossi, Enrico Robusti.
Camillo: discorso economico a parte, ma l’arte, secondo te, è una cosa nostra? E’ proprio proprio per tutti?
La pittura italiana vivente, ossia il pezzo di arte che mi interessa precipuamente, al momento sembra cosa di nessuno. Non potrebbe mai essere di tutti ma potrebbe essere di un’élite, che però da noi non esiste. E l’egualitarismo nuoce molto all’arte, che prospera nel prestigio e nel privilegio.
Qual è secondo te lo stato attuale dell’arte, almeno nella provincia italiana? Chi domina il campo? Quali sono secondo te gli scenari futuri?
Come ho cercato di dire prima, pessimo. E come potrebbe essere altrimenti? In una nazione al contempo povera e ignorante (questa è l’Italia oggi) lo stato dell’arte non può che essere quello che è. Non esistono dominatori del campo, come Cimabue prima di Giotto (vedi Divina Commedia) o Schifano prima che morisse, semplicemente perché non c’è più campo. E non c’è nemmeno scenario, se non per gli artisti capaci di proiettarsi a livello internazionale.
2 Comments
“disfanno” ci mancava
infatti non tutti sanno che “disfare” è composto col verbo “fare”, che alla terza persona plurale è: “fanno”, appunto.