ARCHITETTURE DI CARNE – Stefano Mazzoni intervista Giovanni Manzoni Piazzalunga

0 Posted by - November 23, 2011 - Interviste

L’immediatezza è difficile. Basta un rapido sguardo al suo studio per constatare quanto ne sia consapevole Giovanni Manzoni Piazzalunga. Ogni superfice verticale e orizzontale è ricoperta da studi a matita su fogli di carta. La rapidità del disegno, la sua spontaneità priva di mediazioni è il frutto di una pratica paziente e attenta. Non si tratta soltanto della cura manuale della forma, del rispetto delle proporzioni, della conoscenza dell’anatomia e di un’eccellente capacità di raffigurazione. La verosimiglianza è quasi un accidente, un semplice elemento di partenza attraverso il quale costruire delle vere e proprie architetture basate su assiomi e postulati corporei. Foglio dopo foglio, ciascuna forma chiama la successiva, la suggerisce e le si accomoda a fianco, pretendendo la creazione di uno spazio sempre più allargato. Ed è probabilmente questo suo implicito aspetto costruttivo a far sì che il disegno debba assumere una dimensione monumentale. Una volta conclusa la fase di studio, le sue opere prendono forma compiuta su mosaici di fogli di carta, in grado di raggiungere i 5 o i 10 metri di lunghezza. A questo punto il disegno scorre rapido, utilizzando materiali semplici, matita, pastello, carboncino, e trovando nell’utilizzo della macchia uno dei loro tratti peculiari. Il caffè impregna la carta, scivola al di sotto del disegno, e lo spinge in superfice, quasi lavorando di rilievo sulla carta, a richiamare le mani a riempirsi delle sue forme. La stessa monumentalità spinge alla creazione di iconografie altrettanto dense e complesse, impegnate in racconti anarchici e visionari. Ecco allora che la geometria dei corpi e le loro seduzioni fanno in grado di fare spazio a supereroi e divinità, scienziati e Satiri, in un Pantheon dai riferimenti imprevedibili e in continua ridefinizione.

Come costruisci le tue immagini. Nel tuo studio è evidente il lavoro preparatorio, tra bozzetti, studi e disegni appesi alle pareti. Sono evidenti i tentativi, gli esperimenti, le verifiche a cui sottoponi l’architettura dell’immagine. Mi piacerebbe discutere di come sviluppi un’idea, di come cresce attraverso questo lavoro corpo a corpo con la carta…

La carta rappresenta per me il punto di partenza. È il mezzo più semplice su cui si può sperimentare e, perché no, fantasticare. Di Dürer apprezzo molto più i disegni che i lavori finiti. Li giudico più freschi e genuini. Sono sempre stato affascinato dai cartoni del Cinquecento e, tanto per restare sulla carta, vedo nascere lavori fantastici come graphic novel o tavole straordinarie che solo adesso iniziano a farsi apprezzare in – ancora poche – gallerie d’arte.

Da un lato c’è la costruzione formale-architettonica della figura, dall’altro affianchi una ricerca iconografica e simbolica. Quali sono i riferimenti e le fonti che costituiscono il tuo immaginario?

Il disegno l‘ho inseguito da solo. Frequentavo l’Accademia e lì non facevano altro che spingerti a fare macchie o installazioni. Ho visto ottimi disegnatori scappare dall’Accademia proprio per questo motivo. Per quanto riguarda la simbologia, mi piace cercare di comunicare semplicemente ciò che mi sembra affine al mio spirito. Ho disegnato una Madonna bianca alla moda, con occhialoni trendy che teneva in braccio un bambino adottato. Per me è l’adozione di un essere umano, prima dell’adozione della scrittura, uno dei gesti che significano l’inizio della civilizzazione. Al posto della testa di san Tommaso ho disegnato quella di elefante che inserisce la sua proboscide dentro il costato di voi-sapete-chi per rappresentare l’unione tra le religioni. Non esiste, a mio dire, una religione più giusta di un’altra. E spero per le generazioni future credano meno nelle religioni e di più nell’uomo.

Che rapporto hai con lo spazio bianco del foglio o della tela? Se l’estetica orientale ha fatto della forma accennata attorno al vuoto un espediente di elevazione spirituale, si direbbe che le tue opere siano costantemente ancorate alla terra come lasciano intendere le macchie di colore e di caffé che vi sovrapponi…

Il caffé rappresenta, come la carta, il materiale più povero e immediato con cui comunicare. Mi piace l’idea di non infilarmi in un colorificio e spendere soldi per del materiale che non mi rappresenta. Mi piace invece l’idea di utilizzare del materiale che ogni giorno centinaia di persone buttano via pensando che non possa servire a nient’altro che ad essere bevuto. Mi piace l’idea di dar a quel materiale una seconda vita. Forse – ma dico forse – più preziosa della prima.

L’attenzione al corpo e alle sue seduzioni è al centro di molti dei tuoi lavori ed è evidente che si esprima più compiutamente nelle linee di uno stile che si avvicina più al disegno che alla pittura. Quale diverso livello di sensualità si esprime attraverso i due diversi mezzi espressivi?

Il disegno rappresenta la parte più concentrata del lavoro, anche se spesso il gesto casuale è quello più sincero. Mentre invece se si parla di pittura – o almeno di lanciare il pennello sporco di caffé: bene, questa è la parte prettamente istintiva, grezza, sporca, ma anche plastica… o almeno ci si prova.

Uno dei tuoi temi preferiti sembra la celebrazione di eroi sconfitti dalla storia, sia questa autentica o immaginaria. Hai dedicato una serie di lavori a superoi malati e decadenti e una delle tue ultime grandi opere è allo scienziato visionario Nikla Tesla. Che possibilità ha l’arte di riscattare un destino o modificare la percezione della realtà?

Gli eroi dei miei disegni erano inizialmente persone normali, mi piaceva l’idea che ognuno di noi avesse dei suoi eroi. E non erano di sicuro con quei vestiti da eroi americani, ma il contrasto nell’immaginario della persona normale anziano-giovane-pensionato-giocatore di bocce… mi piaceva e così ho vestito loro per primi… Ma poi, leggendo e rileggendo alcuni libri, mi sono imbattuto in personaggi che hanno contribuito a migliorare questo mondo, come ad esempio Nikola Tesla. Si può dire che il settanta per cento di quello che abbiamo intorno (parlo d invenzioni di cui ogni i giorno facciamo uso) lo dobbiamo a lui o ad altri personaggi che la storia sta dimenticando. Perché il “sistema” è questo: loda un genio che crea apparati di energia dannosi ma profittevoli e lo spaccia come persona da cui attingere saggezza. Dimenticando i geni reali che creano sistemi di energia totalmente gratuiti.

Per tutte: courtesy e crediti fotografici Giovanni Manzoni Piazzalunga

 

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