A Rialto si trovano le scritte del tipo “Stop mafia, Venezia è Sacra” e per le orde di turisti che ogni anno attraversano questa landa sospesa sull’acqua maleodorante, nel bene e nel male Venezia è la città miracolo di architettura del passato e del presente perché, nonostante tutto, continua ad incarnare quell’idea mitica d’Italia del Grand Tour, iconizzata da Goethe.
Con Mondoitalia di Koolhaas ospitata all’Arsenale, in cui aleggia lo scandalo del Mose , l’architettura nazionale è un gran spettacolo, come visualizza l’installazione Luminarie che evoca le sagre del santo patrono nei paesini del Sud, al limite tra il sacro e il profano, all’entrata nelle Corderie, composta da centinaia di lampadine colorate e cristalli Swarowski. In questa kermesse nazionalpololare si trova di tutto, dall’architettura coloniale in Libia al teatro di Siracusa alle scenografie di Cinecittà fino agli edifici industriali abbandonati e le discariche della riviera adriatica, poi c’è Milano 2 di Berlusconi e tante microstorie più o meno interessanti.
L’architettura italiana è anche una questione di regia. Infatti l’architetto olandese è più orientato a mostrare il luogo comune degli italiani poco inclini al rispetto di regole che si riflette nelle architetture variegate che produciamo, incluse le contraddizioni e le anomalie di casi in bilico tra caos e rinascita, puntando su progetti dolorosi, come architetture incompiute specchio del perverso rapporto tra amministrazione politica, corruzione e architettura. E tra le case sequestrate dalla mafia, sono esposti i vuoti lasciati dal terremoto dell’Aquila, l’edificio di Stefano Boeri per il G8 alla Maddalena a tre chilometri dalla spiaggia rosa di Budelli, ancora intatto, i capannoni di Amazon a Castel San Giovanni o la sezione Mediopadana a Reggio Emilia: con questi e altri casi di architettura si dimostra l’assenza di regole e di etica.
Al contrario, tira tutta un‘altra aria di riscatto e di vocazione modernista del nostro Paese al Padiglione Italia alle Tese delle Vergini, a cura di Cino Zucchi, cui si accede varcando una grande porta d’ispirazione barocca, un Archimbuto metallico incastonato alla parete di mattoni di fronte alle Gaggiandre del Sansovino. Il titolo della mostra è Innesti / Grafting. Il nuovo come metamorfosi, visualizzato anche nella comunicazione grafica, che comprende le sezioni Milano. Laboratori del Moderno e Italia. Un paesaggio contemporaneo.
Cino Zucchi (Milano, 1955) per “innesto” intende un’attitudine/abitudine a costruire confrontandoci con il passato e si pone l’intento di esemplificare una modernità anomala perseguita dall’architettura italiana nel Novecento, caratterizzata da innesti tra il passato e una modernità vitalistica.
Scrive il curatore nel testo di presentazione del catalogo:
Gli innesti non possono derivare da programmi, sono per loro natura correzioni, distorsioni effettuate su un sistema che era stato pensato in un altro modo
con l’obiettivo di trasformare il paesaggio geografico in un‘unica materia plasmabile attraverso l’architettura che riscrive il nuovo con l’antico. Il concetto di “innesto” diffuso sul territorio nazionale è esemplificato da un allestimento ineccepibile con fotografie e plastici di edifici che hanno mostrato una capacità di innovare e di interpretare in modo originale casi precedenti del tessuto urbano attraverso una continua metamorfosi e scambio di codici architettonici senza delineare uno stile unitario. Il nuovo non risiede più nelle espansioni di grandi città, bensì nel rinnovamento e ripensamento del costruito.
Milano è la protagonista del Padiglione Italia, città-laboratorio, piattaforma del nuovo alle prese con radicali modifiche del proprio sky-line negli ultimi dieci anni. Milano si racconta a partire dal Duomo: un evidente caso d’innesto di architettura nordica sulla tradizione orizzontale italiana e la sua ampia e discussa piazza ispirata a quella del Campidoglio di Michelangelo. Milano, “città che sale”, dal Futurismo ad oggi, raccontata nella sezione dedicata ai grattacieli milanesi, dall’architettura verticalista negli ultimi anni, si evolve rielaborando il passato. Anche l’Ospedale Maggiore di Richini e Filarete, attuale sede dell’Università Statale, con innesti di Liliana Grassi nel dopoguerra e il PAC (Padiglione di Arte Contemporanea) di Gardella del ’51 sono alcuni esempi di innesto architettonico diventati icone di modernità. L’innesto è indagato anche attraverso architetti del dopoguerra, i maestri lombardi, quelli che hanno costruito la Milano moderna, come Ponti, Lancia e Magistretti fino ad Asnago Vender, Caccia Dominioni, et cetera.
Anche nella sezione che ospita fotografi che raccontano l’occupazione della Triennale nel ’68 è evidente l’urgenza della modernità, seppure sbagliando, sperimentando qualche utopia di nuovo, e innesti dai mille volti. Una risorsa possibile è la conservazione del passato o meglio la sua rielaborazione come soluzione formale italiana in rapporto a contesto, cultura e società.
Nella sezione Italia Un paesaggio contemporaneo, d’impatto scenografico raffinato, grandi light box asimmetrici, retroilluminati e trasformati in volumi scultorei fanno luce su 85 progetti recenti che, in maniera diversa, hanno investigato le persistenze del passato nelle declinazioni dell’architettura contemporanea.
E’ debole e poco convincente la parte dedicata all’Expo 2015, dove si punta sulla multimedialità e simulazione di progetti di Milano come dovrebbe essere, ancora “in fieri”, che forse non vedremo a causa di troppe speculazioni in corso d’opera.
Expo a parte, il messaggio di Zucchi è chiaro: superiamo l’atteggiamento passatista, conservativo e nostalgico e valutiamo criticamente se l’innesto è un investiamo nelle giustapposizioni tra vecchio e nuovo, fondato sulla capacità di puntellare il nostro passato con nuovi frammenti di architettura in maniera armonica. Oppure se è soltanto un’attitudine sterile che celebra la propria vacuità. Attenzione, il trait d’union tra l’Italia frammentata, semiseria di Koolhaas e quella ricostruita, critica ed evolutiva inscenata da Zucchi, è rappresentata dallo spazio pubblico, con palchi, gradinate, aree di sosta, come un‘evocazione simbolica della piazze, tipiche del tessuto urbanistico italiano, così caratterizzanti che potremmo raccontare il Belpaese passando dalle piazze dal Nord al Sud. Koolhaas nelle Corderie ha intramezzato le sezioni con “piazzette” aperte a eventi di musica, danza, performance, teatro, cinema, in programma fino alla chiusura della Biennale (23 novembre 2014), mentre Zucchi nel giardino delle Tese delle Vergini ha creato una lunga panchina di metallo, dove sedersi per riflettere sugli innesti poeticamente materializzati da Michelangelo e Carlo Scarpa, l’architetto protagonista di un’imperdibile mostra nella Fondazione Querini Stampalia, da lui progettata, in cui ogni dettaglio, dal ponte d’ingresso fino alle gronde del giardino, sembra materializzarsi una spazialità poetica irrorata dalla luce.
14. Biennale Internazionale di Architettura | Padiglione Italia
a cura di Cino Zucchi
www.labiennale.org
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