La personale di Aqua Aura da Paolo Tonin a Torino spacca e Dio stramaledica chi per pigrizia se l’è persa. Boudoir, questo il titolo della mostra. Per deformazione professionale penso alla Filosofia nel boudoir di Sade autore del classico libro da leggere con una mano sola, come disse Baudelaire. Cose sconvenienti, da guardare di nascosto. Nel caso del progetto di Aqua Aura, la pruderie e le o-scenità non sono naturalmente le stesse, ma la spinta propulsiva dell’occhio-che-guarda sì. Aqua Aura ci obbliga a guardare ciò che forse non vorremmo e a cercare ciò che vorremmo, ma in entrambi i casi la curiosità del voyeur ha vita facile.
Qui spazio, opere e osservatore agiscono come una triade in cui ogni elemento ha senso in quanto intrinsecamente connesso l’uno all’altro. Non si tratta di un’inventiva fru fru, ma di un ben preciso progetto espositivo che risponde perfettamente al retroterra concettuale della produzione artistica di Aqua Aura, il quale non permette all’osservatore di muoversi costruendo il percorso a proprio piacimento ma, come un cineasta d’eccellenza, ci fa vedere esattamente quello che vuole lui. Senza linee guida predeterminate, esponendo/ostentando il progetto secondo un’unica direttiva, quella dell’occhio-che-vede.
Sono due le tipologie dei soggetti in mostra: ritratti e paesaggi. Coi primi ci si va a sbattere contro, gli altri bisogna andare a cercarli. Nessuna gerarchia fra le opere in mostra, nessun mistero visuale da decrittare: le opere sono qui e sono queste. Ma, come scrive Alessandro Trabucco curatore della mostra, esse determinano un “cortocircuito visivo”, sviluppato da due fattori, vale a dire l’aspetto irriducibilmente proteiforme della ricerca visiva di Aqua Aura (tanto che pensi gli artisti siano due. Ma in realtà c’è tutto Aqua Aura qui, nell’irriducibile diversità delle opere in mostra) e l’o-scenità (alla Carmelo Bene, nel senso dell’esser totalmente fuori-scena) di una serie (i paesaggi) e l’ostensione dell’altra (i ritratti).
I concetti chiave di questa mostra sono il vedere e il non-vedere, rispetto ai quali l’o-sceno e la messa-in-scena sono i complementi “cortocircuitati”: l’o-sceno è messo-in-scena. Jacques Derrida e con lui tutti i francesi ci fanno una pippa, non ci stiamo baloccando con le parole del linguaggio: da Aqua Aura l’o-sceno è esibito in quanto è ostentato, esibito, messo a nudo, messo-in-scena, , presentato in tutto il chiarore del visibile. In mostra il non-o-sceno (il non-non fuori scena) non è messo-in-scena, ma messo-dietro-alla-scena: già ve l’abbiamo detto, per guardarlo bisogna cercarlo.
Ma cosa sanno mai queste o-scenità e queste cose visibili? Volti devastati e paesaggi extra-fenomenici. I primi, esibiti. Gli altri, nascosti. I ritratti, tanti Elephant men da tenere segreti, sono l’osceno (senza trattino) messo in scena. I paesaggi, invece, sono il visibile nascosto: dovete andarveli a cercare scostando le tende a filo in lamé rosso dietro alle quali essi stanno. E’ questo, il tocco del cineasta Aqua Aura, che non vuole ci facciamo i cazzi nostri alla sua mostra, ma ci fa vedere esattamente quello che vuole noi vediamo. Qui il guardare prende la forma dell’atto voyeuristico dal referente inverso: l’osceno (senza trattino!) entra in scena, mentre il visibile è o-sceno (fuori di scena: per osservarlo dovete fare i guardoni). Non si tratta di una sofisticheria cresciuta nell’etere del cervello di Aqua Aura: questo spostamento di relazioni è pienamente funzionale all’obiettivo del progetto artistico, che consiste nell’ostentare ciò che si vuole occultare e nel nascondere ciò che si vuole esibire.
In mostra abbiamo immagini fotografiche rielaborate in fase di postproduzione: ritratti (Portraits Survivants) e paesaggi (Frozen Frames). Portraits Survivants è una serie che consiste in una serie di scatti realizzati in studi di posa con modelli la cui identità è celata da una maschera deformante, devastante, aberrante, quasi spaventevole: la messinscena dell’o-sceno, l’imposizione visuale del non guardabile. L’occhio-che-guarda impatta su di loro come una pioggia di luce su un tappeto di cristallo. Di converso, Frozen Frames è una serie di immagini mentali, paesaggi che non esistono nel mondo là fuori, sono verosimiglianze visuali di spazi congelati in una sur-realtà extrafenomenica. E questi ve li dovete andare a cercare, inutile descrivere l’ineffabile, anche quando è fatto per esser visto. Aqua Aura è riuscito nell’impresa di dar forma sensibile a un’idea senza fare arte concettuale e per questo non occorre stare troppo a descrivervi cosa c’è in mostra da guardare: sarete voi a farlo e Aqua Aura vi ci obbligherà.
Paolo Tonin Arte Contemporanea
Via San Tommaso,6. Palazzo Della Chiesa di Roddi,
10122 Torino – Italia
tel +3901119710514 – fax.+3901119791494
info@toningallery.com
www.toningallery.com
Orario di apertura dalle 10,30 alle 13 e dalle 14,30 alle 19 dal lunedì al venerdì, sabato su appuntamento
Opening giovedì 26 settembre ore 19/22
27 settembre/ 1 novembre 2013
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