ANDREI MOLODKIN | LIQUID BLACK AFTER LIQUID SKY

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Articolo pubblicato su

Kritika onpaper # 0 – Milano – 22 |09| 2009

in occasione della mostra

Andrei Molodkin. Liquid black after liquid sky
Galleria Pack, Milano
23 |09| – 15 |11| 2008

 
Art machine. L’arte chiede un prestito alla civiltà industriale, occidentale, liberale, progressista e cattolica. E si affaccia sul mondo, qui e ora. Andrei Molodkin (San Pietroburgo, 1966; vive tra Parigi e Mosca) chiede sangue vero e petrolio vero, ribadendo tuttavia l’armamentario del conformismo ideologico che va per la maggiore – Bush è un nazista, gli americani vogliono colonizzare il Medio Oriente, le guerre insanguinano il mondo per la sete di petrolio et cetera et cetera. Ma l’arte, bene non necessario, è l’unica cosa veramente importante.

In mostra alla Galleria Pack di Milano, la personale di Andrei Molodkin sublima lo scaracchio dell’oltranzismo antiatlantico spaziando tra diversi mezzi espressivi, videoinstallazione, olii su tela e fotografie su plexiglass. È una mostra a tesi, vivamente immersa nel contemporaneo e volta a ridestare l’attenzione sopita di un pubblico obnubilato dalla società che esso stesso rappresenta. O è indotto a rappresentare.

Lo abbiamo visto a Milano lo scorso autunno, in occasion della sua personale Liquid Black after Liquid Sky: slittamento semantico e iconografico, dal cielo liquido simbolo dell’eroina nel film Liquid sky del regista russo Slava Tsukerman al liquido nero del petrolio, nuovo sistema di dipendenza vitale della democrazia occidentale. In God we trust, Democracy, Capitalism: l’apoftegma stampigliato sul dollaro e le coordinate che incarnano i valori di una nazione sono presi a prestito dall’artista russo per battezzare olii su tela brutali, su cui scorre il nuovo succo della vita, il sanguepetrolio. Che si raccoglie in un bacile ai piedi del quadro e deborda sul pavimento della galleria, sporcandolo come chiazze di sangue, retaggio iconografico e mediatico degli assassinii perpetrati dai fascisti di ogni risma e ogni razza nel nome della religione.

Sanguepetrolio che scorre attraverso un complesso meccanismo di vuotamento e svuotamento come in un apparato circolatorio, facendolo colare sullo schermo di un video che riprende i guerriglieri ceceni o facendolo circolare in uno scambievole rapporto vitale nei corpi dei simulacri dei due monoteismi, Cristo e Maometto (il sangue è vero, donato da quattro persone di etnie differenti). «Baratro di asettica angoscia. Dio è morto nelle luttuose sabbie mobili dell’oro nero», dice la storica dell’arte Barbara Ramponi. Vero. Del resto anche l’arte, da due secoli a questa parte, ogni tanto vien data per spacciata. Ma la mostra di Andrei Molodkin è un eccellente opera rivitalizzante perché rappresenta ciò che l’arte contemporanea dovrebbe essere: pregna di valore estetico e intellettuale, parla a noi – e di noi – attraverso il raggiungimento di esiti formali ineccepibili. L’arte deve rappresentare la vita e – anche – la società. Attività culturale che mai tradisce il presente, appropriandosi giorno per giorno della contemporaneità e lasciando come rispettabili penati i simulacri delle grandi lezioni del passato. E qui, caro Andrei, gli americani non c’entrano niente, sono anzi il baluardo di quella libertà che il contratto sociale concede. E lo dimostra il fatto che tu abbia finora lavorato anche in America e in paesi “amici” degli americani, compresi gli Emirati Arabi e la Georgia invasa col blitzkrieg di Putin, il quale ha fatto come quello che qui da noi settant’anni fa minacciava le nazioni dal balcone. I nemici della democrazia che però amano il dollaro non te l’avrebbero mai fatta fare, la mostra da loro.

E in fin del conto, visto che è un dato di fatto, chi preferite che sia a disporre dell’atomica, i Democrats di Obama coi suoi petrodollari o i mozzorecchi di Teheran che intendono «cancellare Israele dalle mappe geografiche della terra»?
 

 
Andrei Molodkin | Liquid black after liquid sky

Galleria Pack
viale Sabotino 22, Milano
info@galleriapack.com
www.galleriapack.com

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