ALESSANDRO TRABUCCO. INTERVISTA (Ermeneutica della cura)

0 Posted by - March 23, 2010 - Curators, Interviste

Kritika onpaper # 2 – Milano – 04 | 03 | 2010

Un giorno entro nella dimora di Alessandro Trabucco. Insieme alle opere d’arte appese alle pareti, un brano dei Megadeth mi accoglie all’ingresso. Un graditissimo servizio all’ospite che lo sta per intervistare. Caffè, sigarette.

Caro Alessandro, ti definisci un ricercatore

Alla fine degli anni Novanta avevo ideato questo termine perchè non volevo definirmi né critico né curatore. All’epoca il termine “curatore” non era così “in voga” come oggi. E il critico, che in quegli anni era anche un artista, aveva una visione della critica d’arte molto severa, assumeva un atteggiamento quasi di ribellione nei confronti della critica d’arte, che vedeva nel critico quella divinità nei confronti del quale l’artista diventava quasi una figura secondaria. Invece io ho sempre pensato il contrario: il critico è un satellite dell’artista. La mia visione nei confronti della critica d’arte era dunque molto aspra. E proprio perchè non volevo definirmi “critico” avevo ideato questa espressione, ricercatore, per associarla il più possibile all’ambito dell’impresa scientifica distanziandola da quello non meglio definito della ricerca del bello. Quindi mi ero definito “ricercatore artistico”: due termini inscindibili. Oltretutto, l’espressione ricercatore artistico non contiene quella connotazione negativa che si può associare all’espressione “critico d’arte”. Anzi, è altamente propositiva.

Quindi i due ruoli, critica e cura, si completano

Sì, non vedo separazione netta fra critico e curatore. L’uno confluisce nell’altro.

Chi sono i tuoi mentori?

Sicuramente Harald Szeemann. Per il suo atteggiamento critico e curatoriale caratterizzato da un’analisi secca e mai letteraria. Non voglio sembrare esterofilo, ma io prediligo l’approccio critico marcatamente anglosassone, così diverso dalla retorica italiana. Ma posso anche farti nomi di critici e curatori italiani. Non li considero mentori, piuttosto riferimenti per mezzo dei quali ho realizzato la mia formazione. Innanzitutto Gianluca Marziani: la lettura del suo libro, NQC. Nuovo quadro contemporaneo, mi illuminò e mi fece capire l’atteggiamento da adottare nei confronti della giovane arte. Poi Luca Beatrice. E certamente Alessandro Riva e Maurizio Sciaccaluga, seguivo sempre le loro mostre.

Un tuo giudizio sulla giovane arte di questo clima epocale

Non nascondo (e del resto l’ho dichiarato più volte, sia nelle comunità virtuali che face to face con le persone) di avere una predilezione per la videoarte e la fotografia. Mentre la pittura mi sembra in difficoltà, la vedo arrancare, ci sono atteggiamenti poco originali e troppo imitativi nei confronti di quello che già si è visto, non soltanto in Italia ma anche all’estero. Trovo più stimolante il passaggio che sta avvenendo in questo momento “epocale”, come dici tu, dalla fotografia “documentaristica” e analogica alla sperimentazione digitale. E lo dimostro con le mie mostre. Trovo molto interessante indagare sul passaggio che sta vivendo questa forma d’arte, l’utilizzo della fotografia digitale e della tecnologia come espressione autonoma nei confronti di quel “realismo” normalmente associato alla fotografia, mentre credo che la pittura sia deludente. La scultura, invece, grazie agli atteggiamenti installativi e all’utilizzo dei nuovi materiali, sta vivendo una nuova primavera. Trovo infine banale la performance, sinceramente non ho ancora visto atteggiamenti performativi che mi abbiano sconvolto.

Restiamo in mezzo ai giovini. Ci sono critici/curatori dai quali ti sentiresti di acquistare un’auto usata?

Ho appena preso la patente e un’automobile mi servirebbe. Forse però mi fiderei di più degli artisti e delle loro auto usate. Perchè il feeling con loro è più forte. Il bello del mio mestiere consiste nell’instaurare un rapporto umano, oltre che professionale, con gli artisti.

Insomma non vuoi far nomi

Secondo me il mestiere del giovane curatore, che magari è una figura potente nel mondo dell’arte italiana e che fa mostre in cui non rischia nulla, non ha senso. Il giovane curatore deve lavorare coi giovani, deve rischiare, deve costantemente mettersi in gioco. Il giovane curatore (non voglio fare nomi) che fa la mostra di Fischli & Weiss o di Martin Creed non rischia nulla.

Tanto l’avevamo già capito che stavi parlando di Massimilano Gioni. C’è una mostra che vorresti fare e che ancora non hai realizzato?

Non ho obiettivi mancati. Certo, mi piacerebbe curare la mostra di Tracey Enim, o di Bill Viola, o di Olafur Eliasson, ma che gusto ci sarebbe? Io gliela curerei pure una mostra a tutti e tre, però questo non aggiungerebbe nulla alla mia ricerca. Sarebbe un orgoglio solo di facciata. Come si diceva prima, sono artisti già affermati, a me interessa invece lavorare sull’humus, su ciò che sta emergendo in questo momento. Non mi interessa lavorare con gli artisti affermati. O mi interessa di meno.

Giro anche a te la stessa domanda che Silvia Bottani ha posto a Flavio Arensi: La figura chiave del mercato dell’arte contemporanea si può identificare nel collezionista, che detiene un grande potere decisionale, essendo in grado di orientare le scelte dei galleristi. Pensi che il ruolo economico del collezionista abbia in qualche modo scalzato il primato della riflessione critica rispetto alla valutazione delle opere?

Non è a rischio. Il collezionista può arrivare solo a un certo punto. Certo, il collezionista ci mette il denaro, mentre il critico ci mette la parola. Però secondo me le due figure sono complementari. Piuttosto, il collezionista può condizionare quella figura centrale che è il gallerista (anche se il perno attorno al quale ruotano gallerista, collezionista e critico resta sempre l’artista). Il buon gallerista si fida innanzitutto del proprio intuito e del proprio gusto, attraverso i quali compiere scelte in maniera autonoma, senza farsi influenzare dal collezionista o dal critico. Purtroppo però capita che sia condizionato da certe scelte dei collezionisti: questo comporta che debba assumersi la pesante responsabilità di formarsi la visione più ampia possibile, sia dell’uno che dell’altro. Comunque la figura centrale è sempre l’artista, senza il quale non ci sarebbe mercato. Poi viene il gallerista, che scommette sull’artista. E naturalmente il critico, con le sue scelte. Quello del collezionista è più un ruolo affaristico, se mi passi il termine, mercantile, considera l’opera come un investimento. Mentre al critico, che l’opera sia o no un investimento, interessa relativamente.

Hai detto che senza l’artista non ci sarebbe mercato. Io penso il contrario. Nel senso, senza mercato non c’è arte. Da sempre il lavoro dei più grandi artisti ha potuto progredire grazie a mecenati e papi, che nei tempi odierni sono stati rimpiazzati dalla più generica figura dell’investitore (anche il gallerista e il critico che scommettono su un artista sono degli investitori). Io penso piuttosto che il rapporto fra collezionista, artista, critico e gallerista sia sinergico e che queste figure siano complementari. Il tutto nel circolo del mercato. Senza mercato non c’è arte, non credo vi siano alternative credibili. Questo ovviamente non comporta riconoscerne le magnifiche sorti e progressive: chi lo fa, fa ideologia e commette un errore madornale, Marx dixit. Caro Alessandro, che fare?

Sembra che parliamo del “sesso degli angeli”. Per l’artista, mercato o no, l’espressione creativa è un’esigenza. Quindi esiste “a priori”, nonostante e malgrado tutto. Poi a un certo punto si è scoperto che con tale necessità comunicativa si potevano indottrinare i popoli (vedi i papi e i mecenati, che comunque la utilizzavano anche come strumento di potere politico). Poi, una volta scalzata la chiesa e la politica, si è arrivati all’indipendenza creativa e all’esigenza del possesso privato del singolo. Quindi l’artista è l’origine, tutto il resto è conseguenza, mi pare una successione logica degli eventi. Se l’artista non vende produce comunque. Non vive, ma si esprime lo stesso.

Touché. Alessandro, diciamocelo, la critica latita a tutti i livelli, non solo artistico. Restando al piccolo mondo antico dell’arte, mi pare che nella gran parte dei casi abbiamo a che fare con cialtroni e pennivendoli. Qual è la tua visione dello stato di cose?

Questa è la realtà. C’è chi scrive su procura senza credere nel lavoro dell’artista e senza condividere quella soddisfazione che consiste nel riconoscere l’importanza del suo lavoro. Sembra che la figura del critico/curatore sia più importante di quella dell’artista, come se questi passasse in secondo piano. La mostra di un artista curata da un “nome importante” ha più peso della mostra dello stesso artista senza un testo in catalogo. Anche se a quel “nome importante” non gliene può fregare di meno del lavoro dell’artista per il quale ha scritto il testo. Esistono i mestieranti e questo non fa bene all’arte, concordo con quello che dici tu. Io posso tranquillamente affermare di non aver mai scritto su procura e non rinnego nulla di ciò che ho fatto finora. Ho sempre creduto in tutto ciò che ho scritto e in tutto ciò su cui ho lavorato.

Se tuo figlio ti dicesse papà voglio fare il curatore, che consigli ti sentiresti di dargli? O gli daresti le busse?

A parte che magari avrebbe anche una madre. Magari la madre gli suggerirebbe di lavorare al supermercato, ‘ché così è più sicuro e porta i soldi a casa. Scherzi a parte, lo lascerei libero di decidere. Gli direi di formarsi prima possibile la propria identità curatoriale e di dare un taglio identitario alla sua ricerca. Deve osare, al di là delle mode che il marasma dell’arte contemporanea ci sta proponendo e propinando in questo periodo. Senza approfittare di quanto è già stato fatto da altri prima di lui.

Cosa pensi di quella che è considerata la zona galleristica più figa di Milano, zona Ventura? Pare che il nuovo passi di qui. Ora: per me Prometeo Gallery fa delle bellissime mostre. Anche Klerkx mi garba. Idem per De March, che vi si è appena trasferito. Ma quando passo da Zero, Pianissimo, Francesca Minini

Quando vado a vedere le mostre in zona Ventura ho sempre la sensazione di perdere tempo. Però, come dici tu, meno male che c’è la Prometeogallery, che fa delle mostre interessanti. Mentre le proposte delle altre gallerie sono piuttosto effimere e poco sostanziose. La sensazione, quando si torna a casa, è di non aver visto nulla di coinvolgente e di aver trascorso una serata passeggiando nel nulla.

Alessandro Trabucco è ricercatore artistico, attivo come curatore indipendente in gallerie private e spazi pubblici. E’ stato tra i curatori delle quattro edizioni (2004-2008) della rassegna d’arte contemporanea Allarmi, presso la Caserma De Cristoforis di Como. È corrispondente da Milano di Segno Arte Contemporanea, collabora con le riviste Gente di Fotografia ed Espoarte.

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