Avete mai sentito parlare di rotable paintings? Se no, andate a scoprirle nella galleria milanese di Primo Marella: una finestra sul mondo asiatico, dove sono esposte installazioni di Aditya Novali (1978), laureato in architettura, interessato al design studiato in Olanda, già riconoscibile per manufatti composti da singoli moduli roteanti che invitano lo spettatore ad interagire con essi, creando di volta in volta combinazioni diverse nella medesima opera. L’artista indonesiano non è attratto tanto dalla costruzione di edifici in sé, ma del concetto di spazio nell’accezione più ampia. E a tal proposito ha dichiarato:
Per me è importante mettere in discussione, sfidare o definire il significato di spazio perché lo spazio è un supporto che, inconsciamente ha “registrato” gli aspetti storici, sociali, psicologici e anche politici della società
Fatta questa premessa, è importante evidenziare che Aditya Novali ha incominciato a lavorare all’idea di costruzione in serie in seguito alla lettura di Freedom to Build, un libro di John Turner, in cui si contesta l’epidemia della costruzione di edifici low-coast esplosa negli anni Cinquanta. Turner denuncia il modello di micro-spazi “alveare”, ambienti incolore, calcolati solamente in termini economici e alienanti per l’uomo poiché non facilitano la condivisione ne la relazione. Da questa riflessione, Aditya Novali riprende il concetto dell’environment di possibilità combinatorie spaziali , variazioni geometriche di moduli concepite come strutture sceniche, come manifesto poetico contro le limitazione di spazi angusti degli edifici popolari e presupposto per ripensare uno spazio sospeso tra realtà e illusione. Il contenitore e non l’abitare o l’ospitare è un elemento comune dei quartieri popolari da Occidente a Oriente; in galleria sono esposte una serie di maquette di grandi dimensioni di edifici che riproducono questo genere di abitazioni-falansterio, simili a loculi arredati con pareti intatte o in rovina, dalle finestre sbarrate, “gabbie” con grate senza alcuna traccia di inquilini, in cui rimbomba l’assenza di una presenza umana. I suoi moduli roteabili s’spirano agli edifici funzionalisti novecenteschi, non case ma “dormitori” illuminati da luce led: “scene d’interni” che evocano i teatrini prospettici, scatole tridimensionali di legno utilizzate dagli artisti fiamminghi nel Seicento per definire meglio rapporti spaziali, matematici e scorci di luce plurime. I suoi Walls, seppure ispirati all’edilizia popolare mettono in scena la complessità dei rapporti interpersonali, in cui gli ambienti disabitati, ricolmi di cose che parlano di vuoti esistenziali sono da interpretare come memorie di vita, reperti di un archeologia del presente. Osservando queste opere dall’atmosfera inquietante, noterete tracce di cibo, cucine, bagni, lavabi e wc ricolmi di piante color verde acido, micro riproduzioni degli ambienti domestici che rivelano l’abilità manuale ed artigianale di Aditya Novali, architetto di spazi surreali. In questi interni prevalgono tonalità cupe, che irradiati da luci led incorniciano uno spazio metafisico, mettendo in scena, senza rappresentarli, i nostri angusti meccanismi mentali, prigionieri di griglie complesse percettive non sempre razionali.
Aditya Novali | Beyond the walls
Primo Marella Gallery
viale Stelvio 66, Milano
www.primomarellagallery.com
No comments