La 14aBiennale di Architettura a cura di Rem Koolhaas (Rotterdam , 1944), guru del disincanto da Razionalismo, Postmoderno e Decostruttivismo, agitatore culturale anche per la teoria del Junkspace, inaspettatamente al Padiglione Centrale dei Giardini riparte da premesse costruttiviste, con una mostra tipo “manuale dell’architetto”, in cui sono protagonisti gli elementi fondamentali dell’architettura, con rischioso deja-vu novecentesco.
Questa Biennale si è inaugurata nel ciclone dello scandalo Mose, una versione peggiore della Tangentopoli milanese degli anni Novanta. E se l’architettura da sempre dà forma al tempo, l’Italia sopravvive all’onta del malgoverno e all’incomprensibile “normalizzazione” delle bustarelle.
L’architetto di Rotterdam, nei panni del curatore, rivisita in modo critico cause ed effetti della modernità, scannerizzando gli elementi fondamentali dell’architettura in rapporto all’uomo, al tempo e allo spazio. Koolhaas torna agli elementi del fare architettura come attitudine costruttiva. Il messaggio è chiaro ai Giardini, dove l’architettura non imita l’arte, né tantomeno inscena effetti speciali, qualificandosi piuttosto per i suoi elementi fondamentali. Questa sezione didattica – anche didascalica – di taglio volutamente enciclopedico, illustra sala dopo sala, attraverso oggetti e materiali diversi, i limiti e le potenzialità di un secolo di modernità, raccolti sotto un argomento specifico: Elements of Architecture.
L’architetto, anti- archistar dichiarato, severo come un prete luterano, punta il dito sulla modernizzazione, in cui ogni elemento rappresenta una riflessione sul ritorno all’architettura, ai fondamentali elementi costruttivi come pavimento, parete, soffitto, finestra, muri, porte con ante e serrature diverse, balcone, camino, bagno, scala, rampa, ascensore, corridoio, tetto. Ogni singolo elemento rispecchia evoluzioni e cambiamenti sociali e culturali, adottando anche soluzioni radicali e sorprendenti.
Attraversando il Padiglione Centrale si ha l’impressione di trovarsi nel mezzo di una fiera edile, in cui non sono esposti modelli comuni né viene seguito un criterio storicistico, bensì tematico. Interpreta al meglio questo concept “fieristico” il Padiglione Russo, intitolato non a caso Fair Enough.
La prima sala storicizza il soffitto e racconta come questo elemento si sia evoluto nel tempo; si passa poi alla sala delle finestre, allestita come una fabbrica, dove si realizzano prototipi da esporre in qualche esposizione universale stile XIX secolo. La sala dei water è sorprendente, c’è anche una preziosa seduta in pietra del 100 A. C, simile al trono di Minosse, fino ai w.c di ultima generazione giapponesi – e non perdetevi i filmati divertenti che mostrano la “scienza” della minzione, con tanto di grafici sulle posizioni assunte dall’uomo nel corso del tempo. Non si erano mai visti così tanti cessi in una Biennale! Questa sezione avrebbe entusiasmato Marcel Duchamp!
Anche il camino nel tempo si è radicalmente trasformato: attualmente nelle vecchie case o palazzi abbandonati rimangono solo macchie dei luoghi in cui c’era il fuoco, traccia del tepore domestico. In questa sezione è allestita una mostra del MIT, intitolata Riscaldamento locale, in cui si ipotizza che in futuro non scalderemo più tutta la stanza, ma aremo ammantati da raggi di calore che ci proteggeranno dal freddo negli ambienti chiusi. Vitruvio raccontava che l’architettura nacque quando gli antenati si radunarono intorno al fuoco e Koolhaas nella Fire room espone il focolare più antico del mondo (proveniente dal Museo di Valencia), nonché la riproduzione di uno dei camini di Piranesi, fino ai termostati del presente.
In questa kermesse di oggetti la modernità sembra aver violato spazio e libertà e l’architettura è una “macchina” di costruzioni. I punti fondamentali del fare architettura secondo il curatore non mostrano progetti di chissà quale futuro, ma classificano, censiscono e ordinano per generi singoli elementi e materiali, per costruire architetture che rappresentano punti di collegamento tra il vecchio e il nuovo. Ha dichiarato Koolhaas:
La mia è una narrazione globale della modernità e delle sue forme di vita. La mostra Fundamentals si pone il problema dei limiti degli elementi, più che fornire una interpretazione e, in Monditalia all’Arsenale, i limiti e le potenzialità degli spazi italiani
Nei Giardini sono emblematiche le sale dedicate alle scale, rampe e scale mobili, che dal 1924 hanno ossessionato diversi architetti, fino al trattato di Scalologia, suddiviso in 24 volumi, sulla scienza delle scale.
Questa biennale sembra materializzare una frase di Erwin Panofsky:
Il futuro è sempre inventato usando frammenti del passato
e non si assume la responsabilità di proporre futuro/i.
La sezione interrata dedicata al corridoio è davvero inquietante, attraversata da luci fredde e arricchita da filmati emblematici; non a caso una delle caratteristiche dei film dell’orrore è di fissare l’immagine sul corridoio, luogo dell’attesa , della sospensione per antonomasia, dell’attraversamento da un punto all’altro di un ambiente, dove prima o poi accadrà qualcosa, ma non sappiamo né quando né cosa. E’ celebre quello di Shining di Kubrick.
L’ossessione di stabilire gli elementi fondamentali compare anche nella mostra parigina dedicata all’architetto Auguste Perret, caso in cui arte e architettura sono distanziate nettamente: e in questa Biennale esse sono irrimediabilmente distinte. La Biennale dell’architetto olandese, noto anche per il libro già mitico Delirious New York (1978), la città meno pensata del mondo, è distante anni luce dal concept adottato per l’allestimento di Mutations , a sua cura: una mostra di urbanistica nel 2000 con la collaborazione dell’Harvard Project on the City, il primo progetto francese per l’Arcen Reve di Bordeaux, ambizioso, cui hanno partecipato Stefano Boeri e Jaean Nouvel, con l’obiettivo di frantumare l’idea che la città europea corrisponda a un modello specifico, contro l’urbanistica statica e a favore di una frammentazione evolutiva e metamorfica della città.
Tornando alla Biennale del 2014, l’uomo è raccontato dagli oggetti che ha creato, mostrando come poco poeticamente stiamo abitando questa terra. La modernità, molto tecnologica, ha polverizzato il passato e gli elementi esposti sono una testimonianza del modo in cui li ha utilizzati in rapporto allo spazio e al tempo. In questo ambito le performance di danza, musica e teatro distribuite tra una sezione e l’altra forse rappresentano un ritorno alla relazione tra l’uomo, lo spazio e il desiderio di libertà.
Da non perdere è la sala dei balconi , dove spiccano tra gli altri quelli dai quali parlavano Hitler e Mussolini, quello da cui si affacciava Chavez e quello di Evita Peron, in rapporto allo spazio pubblico e privato, che evidenziano lo iato tra masse e potere.
All’Arsenale la seconda parte della Biennale è più vitale di quella didascalica inscenata ai Giardini, che si apre con Mondoitalia, (Leone d’oro per il miglior progetto di ricerca), originale narrazione di 41 casi italiani di architettura anche incompiuta, con foto, plastici, filmati.
Merita un viaggio all’Arsenale di Venezia la sezione Radical Pedagogies, che propone la cultura radical e l’architettura come forma dell’utopia: una fondamentale premessa critica e sperimentale contro i pericoli del conformismo e a favore di una rivitalizzazione dei desideri.
Attraversando questa foresta di cose e progetti che raccontano il paesaggio italiano nelle ataviche contraddizioni di un’architettura e un’urbanistica stuprata dalla politica e ostaggio della corruzione tipicamente italiana, il caso Mose, al bivio tra speculazioni miliardarie e la ricerca di una nuova identità, rappresenta l’ennesimo tragico aspetto del malgoverno.
All’Arsenale si sconsiglia di cercare un fil-rouge, la sua chiave di lettura è frammentazione/contraddizione; ma bisogna partire da qui, dalle criticità del presente, per approdare ai Giardini, per capire da dove eventualmente ripartire, anche se per prefigurare il futuro siamo invitati a guardare al passato, come testimonia la Maison Domino, concepita in cemento armato da Le Corbusier (1914), riprodotta , assurta a icona di questa Biennale, nata sotto l’egida di un passato presente, intrisa di cultura variabile, ibrida, contaminata.
14. Biennale Internazionale di Architettura | Fundamentals
www.labiennale.org
No comments