Vivo, o meglio esisto, al tredicesimo piano di una clinica privata.
Non posso ricordare come e quando sia giunto quassù perché, stando anche a quanto mi riferiscono i medici, sono senza memoria. Qualche volta tornano dei ricordi, ma sono come bagliori indistinti di ombre fumose. Così me ne sto appeso qui, al tredicesimo piano, come una cornacchia smarrita. È così che ho cominciato a raccogliere i miei cra cra scrivendo, ironia della sorte, delle memorie. Forse ho già scritto altri fogli; io immagino di sì.
Quando questa mattina ho aperto gli occhi, una sensazione amara mi ha pervaso, poiché mi sono… ricordato di non poter ricordare.
A quanto pare, infatti, il giorno nasce per me all’improvviso, da un nulla al centro di un grande nulla. Ovviamente sospetto di essere tenuto in questa clinica privata con la forza.
Ho incontrato stamattina i medici che mi hanno lasciato camminare liberamente per il corridoio, e ho anche guardato fuori da tutte le finestre che ho incontrato. O, almeno, ci ho provato, perché ho visto soltanto una fetta lunga di cielo, e il parcheggio di questa clinica, che mi è parso vuoto. Questi medici, rivolgendosi a me con un tono che mi è parso confidenziale, mi hanno detto di non uscire per nessun motivo. Non so se io abbia già provato a saltare giù da una finestra, né se abbia ballato nudo sul mio letto in preda alla pazzia. Non ricordo nulla, ripeto a chi legge che non so nulla. Per un istinto primario non ho obiettato al divieto dei “superiori” di uscire perché, nella mia mente, pensavo: “Ci proverò domani” oppure “c’è una ragione importante”. Ma forse non arriverà domani, perché non conoscerò domani ciò che ho fatto oggi, allo stesso modo in cui oggi non so cosa sia stato di me ieri.
Se state leggendo queste righe, fantasticate su come vi sarà arrivato questo foglio, e chissà quando l’ho scritto. Forse sei tu che leggi a tenermi legato al tredicesimo piano, e solo tu puoi conoscere questo mio segreto, che ho scritto in un oggi senza ieri o domani. Forse è proprio così. Ho chiesto ai medici di mostrarmi delle fotografie di eventuali miei parenti, e mi è stato acconsentito. Inutile aggiungere che le immagini che ho visto rappresentano per me perfetti sconosciuti. Chissà che non lo siano per davvero. Non c’è nulla da fare, non ricordo niente. Allora ho chiesto di scattarmi una fotografia, che allego a questa lettera e, mi auguro, troverete, sempre che non siate i miei carcerieri.
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